Essere o non essere ... juventino? Il dubbio amletico del tifoso più occulto d'Italia!

Zoom fonte : di Bruno Marra
Essere o non essere ... juventino? Il dubbio amletico del tifoso più occulto d'Italia!

Tifare per la Juventus è come votare per Berlusconi: mezza Italia lo fa e nessuno lo dice. Come se fosse una ammissione di colpa, una lettera scarlatta, un marchio di disdoro, una traccia da occultare. Eppure si tratta della squadra più blasonata d’Italia, dell’archetipo dell’organizzazione calcistica, della Società che ha fatto la Storia del nostro Paese. Ma cosa si nasconde dietro la ritrosia degli appassionati juventini ad uscire allo scoperto per mettere sotto la luce del sole la loro legittima passione? Proviamo a scandagliare il mistero buffo della tifoseria più occulta ed omertosa d’Italia.

NON SONO UNA SIGNORA - Chiaramente il discorso riguarda non il tifoso juventino residente a Torino, ma i tifosi sparsi per l’Italia. Che, parliamoci, chiaro rappresentano il 70 per cento del popolo bianconero. Perché per storia, cultura e sedimentazione, il tifoso della Juve è apolide, delocalizzato, trapiantato, infiltrato, sempre ospite e mai padrone. Una specie di nemesi per una squadra che per 50 anni ha dominato la scena italiana. Il paradosso vivente e l’ossimoro apparente è che la Juve non è Signora manco a casa sua. Perché Torino è del cuore Toro, il nucleo della città è granata, come una specie di asimmetria fatale. Alla Juve restano le briciole dell’hinterland e la polvere di Gloria. Il vero zoccolo duro juventino non ha appartenenza toponomastica, non ha un capoluogo né quartier generale. La Juve è di tutti e di nessuno. Perché lo juventino si annida e prolifera ovunque, in tutto il Continente ed anche in tutto il Mondo. Ma senza osmosi di massa, come un arcipelago privo di soluzione di continuità. Cosa c’è alla base di questa frammentazione del popolo più blasonato e meno compatto della Storia del Calcio? La risposta è in una genesi articolata e alquanto bizzarra che affonda radici sociologiche.

IL COMPROMESSO STORICO - Il tifoso medio della Juventus non nasce su una costruzione ma su un vuoto. Un vuoto quasi esistenziale per chi vive di pane e pallone: la mancanza di una vera squadra del cuore. In tutte quelle città e paesini nostrani in cui non c’è una squadra principale, né si sono mai assaporati fasti di rilievo calcistico, succede che chi vuole abbracciare la fede calcistica, adotta una squadra. In assoluto, quella più vincente in quel momento. Ecco che la Juventus per un bel ventennio (che richiama accenti di regime) è stata l’orfanotrofio d’Italia.

Si sa che nella vita si può cambiare fidanzata, macchina, ma non la squadra del cuore. Come fosse una indissolubile unione di sangue, un matrimonio da condividere nella gioia e nel dolore. Ma quello con la Juventus, molto spesso, non nasce come matrimonio di amore, ma matrimonio di convenienza. Il che presuppone una fede calcistica intrisa di compromessi. Perché se da un lato, abbracciando uno squadrone si ha maggiore certezza di vincere, dall’altro lato quella stessa vittoria non è mai veramente tua. Non soffri e non gioisci come un tifoso viscerale. La felicità è questione soggettiva. E talvolta vale più una sola gioia vera, che tante vittorie distanti che non hanno senso di appartenenza.

UNA VITA DA INFILTRATO - Questo è un aspetto che si riverbera anche sul modo di esultare degli juventini “apolidi”. Non c’è trionfo che venga vissuto intensamente, non c’è soddisfazione che ti riempia totalmente. Perché si vive da clandestini, vessati dal marchio di un tradimento verso la propria terra di origine. Il tifoso bianconero vive in un eterno regime di 41 bis, carcere duro, convivenza forzata col nemico. Ed anche quando dovrebbe venir fuori per urlare e godere, deve suo malgrado contenersi, implodere e nascondersi. Perché in fondo l’esistenza di uno juventino è terribile, piena di ristrettezze, densa di costrizioni. Una vita da infiltrato, non sarà mai una vita da tifoso.

E allora vale la pena, soprattutto per le nuove generazioni, porsi il dubbio amletico: essere o non essere juventino? A Napoli la domanda non nasce neppure spontanea. Per una questione di religione, razza, educazione, filosofia, letteratura. E soprattutto per la cultura di un Popolo figlio del Mondo che non si è mai sognato di guardare la vita in bianco e nero. Ma che ha sempre voluto volare in alto verso l’immenso orizzonte AZZURRO.

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