La Juventus vince il quarto scudetto consecutivo e nessuno se ne è accorto. Un brindisi negli spogliatoi di Genova, due foto su twitter e un comunicato sul sito. Champagne sì, ma senza bollicine ché c’è il Real Madrid alle porte. Vero, vincere aiuta a vincere ma diventa anche monotono. Lotti per un anno intero, alla ricerca di un traguardo, e quando lo ottieni con tanta semplicità neanche te lo gusti più. Immaginate se lo scudetto fosse andato a Roma o Napoli. Per tre mesi avrebbero festeggiato, un evento che si sarebbe trasformato in un pezzo di storia. Invece la Juventus non fa neanche più notizia. L’unica notizia è che i bianconeri vincevano non per merito di Conte ma per merito di un’organizzazione societeria che ha dato solidità e concretezza al progetto. Il calcio è divino. Quello che dici oggi non vale domani. Allegri non lo volevano a Torino, Marotta era un ebete che aveva fatto scappare Conte e dopo 9 mesi il parto. Conte è un traditore che non serviva a nulla perché vinceva grazie allo squadrone, Marotta vince sempre e le indovina tutte e Max Allegri ha le palle (cit Andrea Agnelli). La verità è che quando una squadra vince, lo fa perché la società è forte alle spalle. L’allenatore da solo non fa miracoli e non li fa neanche la squadra. Prendete l’esempio in B del Carpi. Castori è stato un grande ma il vero vincitore è Cristiano Giuntoli che negli anni ha costruito un gioiellino. Marotta, vecchio amico di Galliani, gli ha rubato tutti i trucchi del mestiere e ha vinto con gli scarti del Milan: Allegri esonerato e Pirlo rottamato. Di questo passo, la Juventus può vincere in Italia per altri 3-4 anni. Roma e Napoli hanno bisogno di rinforzi eccellenti, le milanesi (soprattutto l’Inter) stanno progettando ma serve ancora tempo ed il Milan è troppo indietro per pensare ad un futuro prossimo da vincente. La Juve ha vinto, comunque vada, con il Real Madrid. Due cose, da qui alla fine, sono fondamentali. Non uscire con risultati clamorosi dalla Champions, che sia in semifinale o finale, e vincere la Coppa Italia con la Lazio, Una cosa possiamo dirla: che noia questo campionato. Il peggiore degli ultimi anni, con verdetti scritti troppo in anticipo. Guardare la serie A ha lo stesso pathos del finale di “Mamma ho perso l’aereo” alla 125esima replica natalizia. Speravamo di divertirci con la lotta salvezza, nulla! Parma, Cesena e Cagliari ci hanno abbandonati prima del tempo. Ci resta la corsa Champions tra Roma, Lazio e Napoli. Vabbè, questo passa il convento. Ci siamo rifatti in Europa, allora, aspettiamo la settimana e non il week end. Tifiamo ad una clamorosa doppietta che sarebbe storica, nell’anno più mediocre del nostro campionato. Il teatrino Milan ancora non è finito. Berlusconi non vuole lasciare da perdente e lui che è sempre un giga avanti li ha incartati tutti. Mr Bee ha fatto la figura del turista per caso, a Milano, Fininvest ha messo i puntini sulle i e i cinesi navigano a vista per capire se davvero, un giorno, Berlusconi vorrà passare la mano. Vendere è l’unica soluzione, per cercare di portare liquidità e capitali freschi all’interno del club; Fininvest non può continuare a perdere milioni e milioni dietro al calcio e i tempi sono cambiati. Ci vogliono tanti soldi per ricostruire il Milan e, forse, Berlusconi non ha voglia, liquidità e soprattutto tempo. La situazione è drammatica per i tifosi. Un altro anno così, senza investimenti seri farebbe perdere l’ennesimo treno ai rossoneri. L’assenza in Europa è, ogni stagione, sempre più una catastrofe. Andare avanti con i tentativi, Seedorf e Inzaghi, non porta a nulla. In Italia il sistema non sta più in piedi. C’è poco da fare. Sabato sera Sassuolo-Palermo sembrava una partita di Lega Pro. Stadio vuoto, silenzio assoluto e pensare che quella partita era stata venduta anche all’estero. La Serie A ha perso notevolmente valore. Le piccole società che arrivano in serie A sono un esempio e un modello gestionale da seguire, quindi, il problema non sono loro, ma l’assenza delle grandi piazze porta ad un campionato sempre meno interessante. Non ci sono più colori né stadi pieni. Ripetiamo: il problema non sono i piccoli club ma una volta arrivavano in serie A uno alla volta e nascevano i miracoli Ascoli, Avellino, Messina, Pisa e Catania. Adesso ci ritroveremo un campionato con Chievo Verona, Sassuolo, Empoli, Carpi, forse il Frosinone… Lotito esprime male i suoi concetti ma rende l’idea. Club senza stadi o con stadi piccolissimi non aiutano a far crescere il sistema. Non possiamo permetterci una serie A senza i 60.000 di Bari, i 35.000 di Bologna, i 30.000 di Catania e così via. Il problema è come sempre a monte. Chi gestisce questo calcio non sa nulla di calcio. Andiamo per gradi, come stiamo facendo tutte le settimane. L’80% dei club italiani non è in regola, con modalità o tempistiche di pagamento. La Giustizia sportiva è un disastro e, come dice saggiamente il Prof Sandulli, è tutto da riformare. Non possiamo aspettare che, per puro caso, il Parma centri l’Europa League e viene bocciato dall’Uefa, per questo in Italia veniamo a sapere che a Parma qualcuno ha fatto disastri. Non possiamo iscrivere al campionato di serie B squadre con 25 e 12 milioni di euro di debiti, sperando che in 9 mesi arrivi lo Spirito Santo a salvarle, invece, puntualmente retrocedono dalla B alla Lega Pro per le montagne di debiti che hanno e per le penalizzazioni che devono scontare. Vedete dove sono Brescia e Varese, due club che non potevano iscriversi al campionato di serie B. Una volta si contavano le società con bilanci non in ordine, oggi, facciamo prima a verificare i club che pagano puntuale, senza giochi di prestigio e con i conti in ordine. Lazio, Juventus, Napoli, Udinese, Entella, Benevento, Salernitana, Fiorentina, Sassuolo, Empoli e pochi altri fortunati. In sintesi: esiste una sola vera riforma per far nascere il nostro calcio. La A a 18, B a 20 e Lega Pro con due gironi da 18. Tutti il resto a casa, per rendere davvero questi campionati professionistici. La Lega Pro oggi è messa peggio dei Dilettanti; almeni lì hanno privilegi fiscali non essendo Pro.
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