La vita di Igor Protti diventa un film! L'ex attaccante del Napoli racconta la sua storia

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Igor ProttiIgor Protti

La vita di Igor Protti diventa un film! Si chiamerà "Igor Protti, l'eroe romantico del calcio" ed è il film-documentario che racconta la vita e la carriera dell'ex calciatore Igor Protti, attaccante del Napoli nella stagione 1997-98.

Oltre 250 gol da professionista in più di 650 gare e un primato particolare: è stato capace di vincere la classifica dei cannonieri in serie C1 (20 gol nella stagione 2000-01 e 27 in quella successiva), in serie B (23 gol nella stagione 2002-03, sempre con il Livorno) e in serie A, con i 24 sigilli al Bari della stagione 1995-96 a braccetto con il laziale Beppe Signori. In Italia ci sono riusciti solo lui e Dario Hubner.

Film documentario su Igor Protti

Per celebrare la lavorazione del docu-film su Igor Protti, oggi il Corriere della Sera edizione bolognese ha intervistato l'ex attaccante. Tra le altre cose, ha raccontato:

Il film sarà pronto a fine anno e durerà sui 90 minuti, come un film classico per non annoiare troppo. Toccheremo vari argomenti dei miei 21 anni di carriera, dico fin da subito che mi spiace perché sarà impossibile citare tutte le persone importanti, compagni, presidenti e allenatori, che hanno avuto un ruolo nella mia vita".

Rimpianti nel calcio?

"Ai miei tempi c’era un percorso, prima di essere considerato un calciatore dovevi fare 2-3 campionati da pro e per ottenere risultati servivano perseveranza, sacrifici e passione. Sono proprio cambiati i tempi: i social ora fanno credere al successo immediato, ai soldi con sacrificio limitato. Oggi in Primavera ci sono ragazzi con quadriennali a cifre che ai nostri tempi prendevano i pro. Nel calcio di oggi fai un paio di buone partite e arrivano i contratti importanti: un vantaggio economico, sicuramente, ma uno svantaggio per la crescita dei ragazzi perché la fame ti costringe a migliorarti ogni giorno. Se ti senti arrivato, ti spegni".

Com'era il calcio ai tuoi tempi?

"Ai nostri tempi c’era l’imbarazzo della scelta. Venivano sull’uomo, altro che pallone, e non bastava essere sfiorati per avere punizione come adesso. Ho giocato anche in C nel girone sud: campi in terra, botte vere. Scherzo, ma non troppo: per veder ammonire l’avversario negli anni 80 dovevi portare la lastra con la frattura, per me è stata una palestra enorme. Poi io non ero un corazziere fisicamente, ma non mi tiravo indietro in battaglia: le davo, le prendevo. Difficile scegliere un avversario, avendo giocato da metà anni 80 a metà anni 2000: posso citare Bergomi, Maldini, Baresi, Cannavaro, Ferrara, Vierchowod, Nesta. Ma ne dimentico tanti che erano straordinari"

Non c’è più tanto il senso di appartenenza: rappresentare una città era il mio dogma, vedere la passione del tifoso che veniva a vederti e piangeva. È stato anche un peso grosso che ha richiesto un percorso psicologico che ho fatto da solo per entrare in campo e dare il meglio di me: i primi anni, la sera prima della partita non riuscivo a dormire. Nè a Rimini, né a Livorno. Invece, a metà anni 90, a Bari, mezz’ora prima di fare riscaldamento mi addormentavo 15-20 minuti sul lettino in spogliatoio. Credo di essere stato l’unico, con quelle tempistiche pregara. Questo perché ho cercato di capire cosa mi servisse, mi sono anche “violentato” per avvicinarmi alla gara con più serenità nonostante il carattere mi desse quel senso di responsabilità che poi ho mantenuto. Nel documentario tratteremo questo aspetto".

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