Un derby maledetto, mai giocato tra Avellino e Napoli allo stadio “Partenio”, ma che resta nella storia del calcio per la tragedia che costò la vita al tifoso partenopeo Sergio Ercolano. Era il 20 settembre del 2003, campionato di B. Ora si è chiuso in primo grado il processo contro gli ultrà del Napoli protagonisti degli scontri con le forze dell’ordine. Ed è stato un verdetto durissimo: otto condanne per 61 anni complessivi di carcere ed una sola assoluzione. Una sentenza senza precedenti nel mondo del calcio, che punisce pesantemente gli ultrà riconosciuti colpevoli dei reati di devastazione e saccheggio. La rabbia degli ultrà si scatenò dopo che si diffuse sugli spalti del “Partenio” di Avellino la notizia della morte di Sergio Ercolano, che precipitò nel vuoto nel tentativo di entrare allo stadio: ne scaturì una furiosa invasione di campo con l’aggressione delle forze dell’ordine, costrette a trovare riparo nel sottopassaggio che conduce agli spogliatoi. Scene di violenza impressionanti, con danni ingenti alle strutture dello stadio. Ed ora gli ultrà napoletani dovranno anche risarcire il Comune di Avellino per 120 mila euro. L’unico assolto è stato Vitale Barchetta. Condannati a 9 anni e 6 mesi Mauro Pasquale e Luciano Treglia, inflitti 9 anni di carcere a Vincenzo Abruzzese e Giovanni Melotti, 8 anni e 6 mesi a Ciro Marigliano, 6 anni a Salvatore Barbarano, 6 anni e 6 mesi a Marino Lippiello, orginario di Baiano, infine 3 anni di reclusione a Giovanni Barchetta. In alcuni casi le condanne sono state anche superiori alle richieste della pubblica accusa. Il collegio, formato dai giudici Calise, Tringali e Centola, ha emesso la sentenza dopo nove ore di camera di consiglio. Gli imputati hanno potuto beneficiare della prescrizione per i reati di porto abusivo di armi e lesioni volontarie. Ma dovranno risarcire anche la Misericordia di Avellino (10 mila euro) e i dieci tra carabinieri e poliziotti che rimasero feriti negli incidenti (8 mila euro a testa). Gli avvocati difensori hanno già annunciato ricorso in appello. Solo pochi mesi fa si era chiuso un altro processo sul derby mai giocato: la Corte d’Appello aveva negato qualsiasi tipo di risarcimento alla famiglia di Sergio Ercolano, confermando che nessuna responsabilità per la tragedia allo stadio poteva essere attribuita al Comune, alla società dell’Avellino e al ministero degli Interni. Gli incidenti scoppiarono in curva Nord, il settore dello stadio avellinese riservato ai supporters partenopei, molti dei quali senza biglietto. Sergio Ercolano precipitò da un muro da un’altezza di dieci metri, finendo su una tettoia in plexigas: morì poco dopo all’ospedale Moscati. I giudici hanno scritto nella sentenza che Ercolano “per entrare nello stadio eludendo i controlli o per trovare una via di fuga per sottrarsi alla guerriglia tra tifosi, scelse autonomamente e consapevolmente di percorrere una strada che era prevedibilmente molto insicura e visibilmente insidiosa”.