Lilian Thuram, 49 anni, leader della Francia campione del mondo e d’Europa, per dieci stagioni in serie A con Parma e Juve, affronta nel nuovo libro “Il pensiero bianco” il tema del razzismo, che ha vissuto sulla propria pelle anche quando era uno dei più grandi calciatori almondo. Il Mattino di Napoli intervista Thuram sull'edizione di oggi.
Ecco quanto evidenziato da Calcio Napoli 24:
Cosa è il “Pensiero bianco”? «È abbastanza facile comprenderlo. Io sono diventato nero a 9 anni, quando sono arrivato in Francia dalla Guadalupa e in strada un bambino mi ha detto “sporco negro”. Anni dopo, quando ho chiesto a mio figlio se fosse l’unico nero nella sua classe, lui mi ha risposto: “Io non sono nero, sono marrone. E gli altri bambini? “Loro sono rosa”. I bambini non si vedono bianchi o neri: è qualcosa che gli mettono dopo in testa. E, quando incontro i piccoli a scuola, faccio un esempio. Chiedo: di quale colore siete? E loro: “Bianchi”. Allora mostro un foglio di carta: bianchi come questo foglio? Dicono: no... Allora perché dite che siete bianchi? Mi rispondono: “Per abitudine”. Bianchi non si nasce. Si diventa. Non è un colore. Essere bianchi o neri è un’identità. E di questa identità bisogna conoscere l’origine, la storia, la costruzione politica che ha determinato la nascita del concetto di razza e ha stabilito che quella bianca sia la razza superiore. Questa ideologia politica ha legittimato la schiavitù, il colonialismo e l’apartheid. E spiega il razzismo di oggi».
Ma c'è spazio anche per parlare di Napoli. Tre anni fa esplose un caso di razzismo che riguardò un calciatore del Napoli, Koulibaly, insultato durante la partita con l’Inter al Meazza. «L’ho conosciuto quando venne a Parigi con il Napoli, allenato da Ancelotti, per la Champions. Ragazzo straordinario, con grandi valori umani, dotato di enorme equilibrio. E molto bravo tecnicamente».
Koulibaly è uno dei tre africani titolari nel Napoli con Anguissa e Osimhen: qual è il significato di questa presenza nella squadra di una città da sempre contro le diseguaglianze e il razzismo? «È una presenza che può aiutare le persone a cambiare la mentalità e ad avere una maggiore apertura verso uomini che hanno un’altra religione e un altro colore della pelle. Certo, è più facile rispettare e ammirare un calciatore della tua squadra, poi bisogna avere lo spesso rispetto per chi incontri in strada».
Osimhen ha conquistato i napoletani. «Bravissimo. Veloce, inquadra molto bene la porta, ha il senso del gol. Lo avevo visto già nel Lille e non mimeraviglia che faccia tante reti nel Napoli». Nato povero a Lagos, è un ragazzo che ha fortissime motivazioni. «Che contano, certo, ma sono diventati grandi calciatori anche ragazzi che non avevano avuto una vita disagiata. Piuttosto, Osimhen può essere d’esempio con la sua storia per tutti quelli che vogliono realizzare un sogno: lui ce l’ha fatta».
Il razzismo, lo sanno bene i napoletani, non è solo questione di pelle: c’è anche quello del Nord contro il Sud. «Ho avuto Fabio Cannavaro come compagno al Parma e alla Juventus, ancora ricordo quando partivano gli insulti contro Napoli e i napoletani. Un problema storico è anche quello delle città del Nord che non accettavano le persone che arrivavano dal Sud nel dopoguerra».