L’intercettazione dello scandalo non c’è più: non esiste la prova che Andrea Agnelli, quando parlava con Rocco Dominello, a processo a Torino per associazione di stampo mafioso, fosse a conoscenza dei suoi legami con la ‘ndrangheta. E Giuseppe Pecoraro, ex prefetto di Roma, procuratore della Figc, finisce nella bufera: Rosy Bindi, presidente dell’Antimafia, lo stoppa almeno due volte; Armando Spataro, procuratore di Torino, in serata puntualizza con una nota, cui Pecoraro risponde; alcuni membri della Commissione a fine audizione allargano le braccia di fronte a chi sussurra la parola dimissioni.
Come riporta Il Corriere della Sera: "Ma, nello stesso tempo, è la stessa Bindi a dare un senso al lavoro che l’Antimafia sta svolgendo attorno al calcio, con una chiosa inquietante: «A noi basta sapere che in Italia le mafie sono arrivate perfino alla Juventus». Perciò andrà ancora più a fondo: saranno ascoltati presidenti e dirigenti di Inter, Milan, Napoli, Roma, Lazio, Genoa, Crotone, oltre allo stesso Agnelli, atteso a inizio maggio.
«Hanno arrestato due fratelli di Rocco, ma lui è incensurato: noi parliamo con lui». L’intercettazione, rivelata da Pecoraro all’Antimafia nell’audizione del 7 marzo, non è di Agnelli. È lo stesso procuratore a riconoscerlo: «Hanno detto di tutto, anche che mi sono inventato un’intercettazione. Non è così, in realtà si tratta di un’interpretazione che è stata data. L’ufficio si è limitato alla trasmissione degli atti, senza esprimere alcuna interpretazione». Contro precisazione di Pecoraro: «Non ho attribuito alla procura di Torino alcuna interpretazione». Pecoraro sbotta: «Non ho mai affiancato il nome di Agnelli alla ‘ndrangheta, avrei usurpato ruoli della giustizia ordinaria». In ambito sportivo, comunque, non cambia nulla: il deferimento nei confronti della Juve è indipendente da tutto questo.