Fuori: ma era nell’aria (gelida) d’un giovedì stranissimo, consegnatogli per provarlo ancora, oppure per lasciar respirare De Guzman. Fuori: ma, secondo l'edizione di oggi del Corriere dello Sport, s’era intuito anche domenica scorsa, ancor prima che s’alzasse il cartellone per anticiparne la doccia, la ottava sostituzione (in campionato), suggerita dal campo mica dal desiderio di «profanare» il mito. Fuori: per la terza volta, come a Udine e con il Torino, però stavolta siamo a Milano, a San Siro, alla scala del Calcio, e fa uno strano effetto (comunque) cominciarla senza Hamsik, che è il capitano. E già, stavolta Hamsik è in panchina, come uno qualunque, un gregario o una comparsa: ma, va da sé, è da un bel po’ che quel genietto spaccapartite, una settantina di gol e veroniche entusiasmanti, aveva smesso di concedersi per quel che sapeva. All’improvviso, s’è ritrovato inghiottito da un sistema troppo grande per lui, o semplicemente diverso: ha sofferto il 4-2-3-1 e certo non si può pensare di cambiare un’idea di calcio per assecondare la sua vocazione. Né Hamsik è mai riuscito a scrollarsi da dentro quella insostenibile pesantezza del non essere se stesso. E adesso che si gioca una partita di quelle che «valgono» come può esserlo Milan-Napoli, Marek Hamsik, il totem, l’idolo al quale una parte consistente del San Paolo, otto giorni fa, l’ha fischiato, ha scoperto cosa significhi una esclusione che rappresenta una piena, consapevole scelta tecnica di un allenatore che ha provato ad aspettarlo, l’ha fatto, e che ora ha scelto di stimolarlo, lasciandolo rifiatare. Nella Scala del calcio, è dura, si entra stavolta senza gli scarpini e chissà se questa favola sta per finire.