Come riporta l'edizione odierna del Corriere dello Sport, chi non conosce la storia di Jonathan De Guzman può pensare che quel pallone portato a casa dopo la vittoria sullo Young Boys ricordi solo la prima tripletta della sua carriera, nonchè la prima sbornia consumata con la maglia del Napoli. Racchiude, invece, tanto di più. Rappresenta la felicità di un olandese di origini canadesi, nato da madre giamaicana e padre filippino, che ne ha passate di tutti i colori. Incomprensioni con dirigenza e tecnico del Feyenoord quando aveva 19 anni; mancato passaggio al Manchester City per l’opposizione del club in cui era approdato quando era poco più che un bambino; infortuni a catena, dall’inguine, alle cosce, al ginocchio; un contenzioso tra Villarreal e Swansea prima del lasciapassare per il Napoli. Insomma, una carriera tutta in salita quella di Jonathan De Guzman, sicuramente più forte del fratello maggiore Julian, titolare della nazionale canadese, e giramondo del calcio (fino ad un anno fa allo Skoda Xanthi). Alla nazionale olandese è arrivato solo da qualche anno e deve tutto a Van Gaal se ha partecipato ai Mondiali in Brasile. Ed ora che era approdato alla corte di Benitez soffriva perchè non era riuscito ancora ad esprimersi tranne quel gol all’esordio realizzato nel finale di Genoa-Napoli. Stringeva i denti e s’allenava anche più del dovuto pur di ricambiare la fiducia del tecnico. Vi era abituato. L’ha fatto fin da bambino pur di sfondare. Raccontano che da piccolo giocava per tre squadre diverse in Canada e s’allenava sei volte a settimana. Ecco perchè su quel pallone della tripletta agli svizzeri, consegnatogli da De Laurentiis, ha voluto le firme di tutti i compagni; ecco perchè l’ha portato con se anche in pizzeria, nei pressi del San Paolo, quando è andato a cenare invitando lo speaker dello stadio, Decibel Bellini.
Jonathan è risorto più volte durante la sua carriera. Deve tanto a Michael Laudrup che lo volle al Mallorca dopo l’intervento al menisco (gennaio 2009). Poi passò al Villarreal per 8.5 milioni agendo da vertice alto alle spalle della prima punta, avendo a protezione Borja Valero e Gonzalo Rodriguez che ritroverà di fronte domenica nella Fiorentina. Infine, in prestito allo Swansea, voluto ancora da Laudrup. Una carriera tra alti e bassi, premiato in Premier per il gol più bello dell’anno (allo Stoke City), celebrato in Champions per una rete al Bayern quando era al Villarreal, conosciuto dai tifosi del Napoli per la rete al San Paolo con la maglia dello Swansea. Quando lo chiamò Benitez non esitò un attimo. Aveva appena concluso l’avventura mondiale dove era stato protagonista in campo in tre partite, tra cui la semifinale con il Brasile. Ma anche lì intoppi burocratici. Finchè non si ritrovò a Castelvolturno accanto ad Higuain e Callejon, ma senza poter giocare i preliminari di Champions in quanto giunto dopo la presentazione della prima lista. Al Napoli era passato a titolo definitivo per sei milioni con un contratto per lui quadriennale a due milioni a stagione. Felice di essere approdato alla corte di un allenatore di fama mondiale, a tradire De Guzman fu quel gol all’esordio a Genova. Pensò di aver superato alla svelta i problemi di ambientamento. S’illuse di aver recuperato in fretta la forma migliore. Accetto di cimentarsi anche da esterno alto a destra. E le prestazioni non furono incoraggianti, in special modo all’andata con lo Young Boys. Poi, la notte di gloria, l’esplosione davanti ai nuovi tifosi, la rivincita sugli svizzeri, ed il pallone da portare a casa. A ventisette anni si trova nel pieno della maturità tecnica e l’Italia è nel suo destino: contro gli azzurri, infatti, debuttò con la maglia arancione il 6 febbraio del 2013 (1-1). E se Benitez dovesse chiedergli di concedere il bis a Firenze, magari alternandosi con Hamsik, sarebbe ben contento di dimostrare agli ex compagni Borja Valero e Gonzalo Rodriguez di essere finalmente approdato nella squadra e nella società che lo sanno apprezzare nella maniera dovuta.