Secondo quanto riporta Il Corriere del Mezzogiorno, il tira e molla tra Regione e Comune per i fondi destinati ai disabili che non arrivano mai è l’esempio forse più attuale. Che alla fine danneggia sempre «gli ultimi». La vicenda di ieri va decontestualizzata dall’ambito calcistico, perché ciò che è accaduto davanti al San Paolo, con il calcio c’entra davvero poco. Attiene piuttosto alla gestione personalistica da parte delle istituzioni di tutto quanto sarebbe invece di interesse collettivo. Di chi sia la colpa dello stadio sbarrato in faccia ai campioni del’87, tutto sommato, interessa poco. I torti e le ragioni sono chiacchiere che non alleviano lo schiaffo dato alla città. Oltre ad analizzare la sequenza dei fatti (lo stadio è di proprietà del Comune e i cancelli sono stati chiusi dai dipendenti comunali; l’assessore si è affrettato a spiegare che mancava l’autorizzazione del Calcio Napoli; il club ha replicato che non avrebbe potuto farlo perché non è arrivata mai alcuna richiesta ufficiale), bisogna ancora una volta constatare che due delle massime istituzioni, l’una amministrativa e l’altra sportiva, non hanno viaggiato nella medesima direzione, nell’interesse della città. Non ne è uscita bene Napoli, non è stato opportuno negare il tempio di Maradona ai compagni di Diego, quelli che con lui avevano per primi esportato la città nel mondo. Fascinoso aprire Palazzo San Giacomo e ricevere i campioni. Ma è stato un errore enorme non relazionarsi alla società sportiva per immaginare un tributo comune e rendere un grazie unico della città a chi per primo alla città aveva dato gloria. D’altra parte la società: bene organizzare la festa per Maradona, con Maradona, a luglio sul terreno di gioco del San Paolo, guardando lontano. Ma, per i tifosi e per gli artefici della storia della città, non sarà mai il 10 maggio.