Poi ti chiedi perché i Righeira siano più gettonati di Pino Daniele. A Napoli questa sarebbe una notizia clamorosa, se il sorpasso avvenisse nella hit parade e non allo stadio San Paolo. Durante e al termine delle partite del Napoli va di moda “L’estate sta finendo”, con quel coro spontaneo che parte dalle Curve e attraversa tutti i settori, per poi diffondersi anche sul terreno di gioco. “Un giorno all’improvviso m’innamorai di te, il cuore mi batteva non chiedermi il perché. Di tempo ne è passato, ma sono ancora qua e oggi come allora difendo la città”, frasi d’amore e di vittoria, ripetute all’infinito e rivolte alla squadra di Sarri ogni volta che la partita finisce con un successo. “Alè, alè, alè” e le mani si congiungono in alto per scandire il ritmo di un testo “a cappella”, senza l’ausilio della musica e con la sola voce del popolo partenopeo che rimbalza contro le nuvole e ritorna sul terreno di gioco. “Napul’è” pure questa storia che sostituisce il pezzo-cartolina della città di Napoli, silenziosamente lo sostituisce come un inno nato chissà dove e poi spontaneamente accettato dalla squadra.
Non si era mai visto a Fuorigrotta il giro di campo dei calciatori che, mezzi nudi, battono le mani per partecipare alla festa in musica organizzata sugli spalti. Questione di un feeling che sta sorreggendo l’inatteso rendimento del Napoli, un affiatamento cresciuto all’interno di uno spogliatoio finalmente unito al pari della dirigenza. Giuntoli è diventato il mastice di una osmosi che profuma tanto di storia da scrivere da qui a maggio, con il ds che fa gruppo con lo staff tecnico di Sarri e il capo della comunicazione Lombardo. Le cene condivise praticamente tutte le sere, a casa oppure fuori, con il sorriso di chi ha nel suo dna il seme della vittoria. E’ un’aria un po’ provinciale? Può darsi, magari la pizza oppure le polpette di pezzogna alternate al coniglio e la zuppa di farro, alzano il colesterolo, però costruiscono pure la “famiglia Napoli”. Nessuno è escluso dalla stessa, dove il fiore all’occhiello, il figlio-prodigio è sempre Higuain. Il più dotato e perciò gli è concesso di esprimere valutazioni ed ambiziosi progetti, senza che qualcuno possa rimbrottargli contro. E se il Pipita “chiama” lo scudetto, vuol dire che ci crede, nella consapevolezza che solo lui potrà decidere di riportarlo a Napoli, percorrendo il solco lasciato da Diego Maradona.
No, non è la solita storia del fuoriclasse argentino preso dal Napoli in Spagna (Maradona dal Barcellona e Higuain dal Real Madrid), è una questione di fiducia in quelli che si spera possano diventare i “ricorsi storici”: il Pipita, proprio come Diego, vorrebbe vincere lo scudetto al suo terzo anno con il Napoli. Qui si fermano i desideri che galoppano a spron battuto e si torna con i sogni per terra, tenendosi aggrappati e ad occhi chiusi al talento del bomber argentino che, intanto, un suo primato personale ce l’ha. Higuain è ad oggi il bomber più prolifico dell’anno 2015, con 20 reti all’attivo e che spera anche di migliorare approfittando delle 7 partite ufficiali che mancano al termine dell’anno solare. Basta crederci? Forse no, non è sufficiente, anche se la consapevolezza nei propri mezzi diventa un propellente per chi ti sta intorno, gli permette di migliorare guardando i numeri dei campioni e non si sente più in soggezione di fronte alla parola “scudetto”. Il sostantivo era diventato tabù a causa del lungo periodo vissuto senza cucire sul petto il triangolino tricolore e ora la parola viene pronunciata regolarmente, senza troppo abusare ed è intrigante cominciare a ripeterla più spesso, quasi come se fosse una scaramanzia al contrario. Chi ha paura di dire “scudetto”? Il Pipita vuole diventare l’amuleto per vincere il campionato e se ci crede lui…