Un anno, 365 giorni esatti dall'impresa calcistica più grande della storia recente della Ssc Napoli: il miracolo di Doha. Una Supercoppa nata sotto una cattiva stella, l'assurda decisione di giocare in Qatar senza la passione infinita dei tifosi. Un aborto per il calcio, sempre più legato al business e meno ai sentimenti. Una vittoria epica per come si era evoluto il match e soprattutto per il clima ostile che si respirava allo stadio (per il 99% gremito da supporters della vecchia signora, ndr) sia fuori, con cori anti Napoli intonati da arabi con tanto di volantini stampati da fan club del posto e distribuiti in ogni settore prima del fischio d'inizio. Gara ricca di emozioni. Bianconeri in vantaggio per la solita disattenzione difensiva, poi il pareggio di Higuain su cross perfetto di De Guzman. Esultanza smisurata della panchina partenopea. Al 90' l'ultimo brivido dei tempi regolamentari: azione personale di Pereyra che passa la palla a Llorente, lo spagnolo cerca Tévez che tira ma non riesce a centrare lo specchio della porta. Si va ai supplementari, si soffre. Sorpasso degli uomini di Allegri quasi letale al 106' con l'Apache. I minuti scorrono veloci, c'è scoramento in tribuna stampa. Il team manager De Matteis protesta col quarto uomo per la perdita di tempo sulle rimesse laterale, dal palchetto d'onore della Juve c'è chi non gradisce e volano parole grosse.
Mischiato alla stampa campana c'è anche Riccardo Scirea, figlio del leggendario Gaetano, che organizza la raccolta dati della partita. E' lui l'uomo del computer che registra statistiche e analizza i dati tattici della Juventus e lo fa attraverso un computer e una telecamera speciale. Al 117' commette un errore imperdonabile: abbandona la sua postazione e si accinge verso la porticina a ridosso del terreno di gioco col ghigno di chi crede di averla già vinta. Se esiste un Dio del calcio si è manifestato in quel momento. Dopo nemmeno 15 secondi Higuain ristabilisce la parità ed esulta senza freni, mostrando di avere gli attributi. Si va ai rigori, un tourbillon di emozioni. Monetina, testa-croce, mi viene in mente la premonizione del collega Luigi Giordano in taxi nemmeno un giorno prima: "Ho sognato che Rafael parava un rigore". La sequenza fu l'esaltazione del fato, quella sera avverso ai non colorati. Due match point falliti con Chiellini e Pereyra. Dalla gioia alla depressione in pochi attimi, illusi e beffati dal destro di Padoin e il volo del portiere brasiliano che da lì a poco sarebbe finito tra le riserve. L'apoteosi! Il più scuro in volto, però, non fu immortalato come meritava dalle telecamere Rai, a differenza di Andrea Agnelli che sprofondò sulla lussosa poltrona dello Sceicco Al-Thani. Era Pavel Nedved, distrutto dal dolore. Cala un'atmosfera funebre Al Sadd - Jassim Bin Hamad Stadium, poi parte 'O Surdat 'NNammurat. Tutti gli sforzi di una breve e intensa carriera davanti agli occhi, un momento impagabile! La chiosa finale, però, la merita un vero signore: Rafa Benitez. Occhi lucidi, sorriso di chi sa di aver compiuto un'impresa storica e messo in bacheca il decimo trofeo in carriera. Al di là di come sia finita l'avventura in azzurro quella coppa porta la sua firma ed ha un valore inestimabile considerando il valore dell'eterno nemico laureatosi quasi campione d'Europa a fine stagione. Gracias Rafè, chi ama non dimentica.
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