C'è un altro campionato che volutamente viene fatto giocare in silenzio perché altrimenti verrebbe giù tutto. Il Napoli, sportivamente parlando, ha meritato di non essere in corsa per provare a vincere lo scudetto. Gli errori sono stati detti e ridetti, inutile ripeterli. La classifica adesso vede in vetta l'Inter che, al momento, merita di stare lassù per quanto ha fatto vedere nel rettangolo verde di gioco. Fin qui tutto giusto, ma la domanda che un po' tutti gli sportivi si pongono è: può una società indebitata fino al collo competere regolarmente? Possibile mai che nessun organo competente prenda seri provvedimenti per tutelare chi, anche a costo di politiche impopolari mediaticamente, cerca di tenere i conti in regola?
Questo discorso vale per l'Inter ma in generale verso tutte quelle società con bilanci in rosso (quasi al limite del default) le quali, non si sa bene per cosa, vengono elogiate solo per la parte sportiva mentre per quella contabile cala un silenzio piuttosto assordante. Si è sempre detto che le società sono aziende a scopo di lucro. E allora perché se una società commerciale, non calcistica, esplode di debiti viene di fatto chiusa mentre nel mondo del pallone continua beatamente a vivere magari vincendo anche titoli nazionali ed internazionali? La storia che il calcio muove centinaia di miliardi di euro è vera, ma dall'altra parte deve esserci sostenibilità obbligatoria per tutti. Chi non riesce ad averla deve restare fuori per garantire equità e non falsare la competizione per ovvi motivi.
Salvo clamorosi stravolgimenti lo scudetto sembra giocarsi quest'anno sull'asse Milano-Torino. Dopo la ventata di nuovo data dal Napoli si torna dunque all'antico. Sarà un dello anche del debito perché, come riportato tempo fa da Calcio e Finanza, l'Inter può vantare un indebitamento lordo da 800 milioni di euro mentre la Juventus di 791 milioni. A questi conti patrimoniali vanno aggiunti anche quelli economici con i nerazzurri che hanno chiuso l'ultimo bilancio con un -308 milioni e la Juve con -339 milioni.
E la Federazione cosa fa? Gabriele Gravina lo scorso 2 luglio in una intervista al quotidiano l'Avvenire ha dichiarato: "Il punto di partenza per guarire il calcio malato è prendere coscienza del forte indebitamento e intervenire in maniera chirurgica e non con una semplice pastiglia. Essendo una crisi entropica, quella del sistema calcio non si cura solo con una terapia sotto il profilo normativo. Piuttosto serve un cambiamento di tipo culturale. Un nuovo corso di informazione e di formazione". Verrebbe da chiedersi perché il concetto di sostenibilità economica, senza deroghe, valga per taluni club professionistici (c'è chi è stato fatto fallire per pochi milioni di euro di debiti) e non per tutti. De Laurentiis, da anni, porta avanti la sua linea imprenditoriale che ha fatto del Napoli un'azienda solida, con indici elevati di redditività e capacità di autofinanziarsi. La sensazione diffusa è che sui bilanci e sulla tenuta sana di una società, valga la famosa battuta del Marchese del Grillo interpretato da Alberto Sordi. De Laurentiis, così come Commisso ed altri presidenti in regola, dovrebbero essere elogiati dal sistema calcio anziché essere ostracizzati.