Si è concluso con le condanne il processo col rito abbreviato davanti al Tribunale di Napoli per alcuni episodi di corruzione al ministero del Lavoro. Quattro anni per Danilo Iervolino, il patron della Salernitana ed ex presidente di Unipegaso, l’università telematica coinvolta all’epoca dei fatti del processo; cinque anni per il segretario della Cisal Francesco Cavallaro; due anni e otto mesi per Mario Miele, ex factotum di Iervolino e di Unipegaso; assoluzione piena per il docente Francesco Fimmanò, per non aver commesso il fatto.
A tutti i condannati sono state concesse le attenuanti generiche e la diminuzione della pena per la scelta del rito abbreviato. Accolte praticamente in toto le richieste della Procura di Napoli – pm Henry John Woodcock e Sergio Ferrigno, procuratore Nicola Gratteri – che aveva sollecitato le condanne di Iervolino, Cavallaro e Miele, ed aveva chiesto al Tribunale di Napoli di assolvere Fimmanò per l’accusa di corruzione, da derubricare in traffico di influenze illecite a causa dell’inutilizzabilità delle intercettazioni provenienti da un fascicolo di Catanzaro su ipotesi di reato collegate alla ‘ndrangheta.
Infatti l’indagine nacque in Calabria, sulle tracce di Cavallaro, e poi spostata a Napoli per competenza territoriale dopo che furono totalmente escluse aggravanti mafiose. Rimasero in piedi solo le accuse di corruzione, radicate negli uffici giudiziari del capoluogo campano perché è lì che fu raccolta la firma dell’assunzione in Unipegaso di Antonio Rossi, il figlio del segretario generale del ministero del Lavoro Concetta Ferrari, altri due indagati di questo fascicolo, per i quali si sta procedendo con il rito ordinario.
I fatti risalgono al 2019. L’assunzione come docente in Unipegaso risale al marzo 2019, Rossi avrebbe lavorato lì per circa tre anni, percependo circa 68mila euro. La somma è stata sequestrata dalla Guardia di Finanza, durante le indagini condotte dal nucleo Pef di Napoli agli ordini del colonnello Paolo Consiglio. L’assunzione avvenne nel periodo in cui Cavallaro chiese e ottenne il parere favorevole, già negato dal ministero l’anno prima, alla divisione del patronato Encal-Inpal in Encal-Cisal e Inpal conservandone però i vantaggi economici e patrimoniali. Una scissione “parziale” dei due patronati che avrebbe consentito ad entrambi di a ricevere sovvenzioni pubbliche, mantenendo i locali e i patrimoni. Benefici “persi” nel caso la scissione” fosse stata “totale”, secondo le ipotesi degli inquirenti. La richiesta di rinvio a giudizio fece emergere l’esistenza di due richieste di arresto rigettate dal Gip. Nonché i diversi e numerosi favori che Cavallaro, da solo o grazie alle sue aderenze con Iervolino e Unipegaso, elargiva per ottenere i suoi scopi.