Benitez e Garcia non parlano. O se parlano, seppur poco, attaccano la squadra. Tutto legittimo. Forse giusto, a parte il silenzio ad personam (contro Massimo Mauro) o ad televisionem (Sky). Ma non entro nel merito, perché penso che,in ogni lite, la ragione non abiti mai da una parte sola. Qui racconto semplicemente una storia come tante. Ambientata nel settembre di quindici anni fa. Quando lavoravo all'Inter e... "Oggi non parlo con la stampa. Avvisa tu": in certi momenti, il viareggino Marcello Lippi era più appuntito di un riccio di mare. E quello era il momento peggiore della carriera. La sua (ultima) Inter appena sconfitta 1-0 dalla Reggina in campionato, a pochi giorni dai sogni estivi di Champions insabbiati dall'Helsingborg (chi?!?!). Nello staff, di quella Inter, c'era anche Julio Velasco, mago della pallavolo. Che c'entrava non si sa. Ma erano anni in cui i guru del volley andavano di moda: ricordate anche Montali, unico dirigente con Juve e Roma nel cv? Uomo di cultura e grandi filosofie, Velasco amava ripetere: "Chi vince festeggia, chi perde si giustifica". Quel pomeriggio caldo di settembre, in Calabria, aggiunse una terza opzione: chi perde, perde anche la testa. Mentre stavo comunicando ai giornalisti che Lippi non avrebbe parlato, mi fecero segno che proprio Lippi si era appena impadronito, con rabbia, del microfono in conferenza stampa. Aveva cambiato idea. Cose che succedono: mica sempre, ma vabbè... Esagerato dalla tensione e stressato dalla sconfitta, si sfogò urlando che se fosse stato lui il presidente avrebbe preso a calci in culo i giocatori ed esonerato l'allenatore. Detto, fatto: ma non subito. Avvertito all'istante da telefonate private più radio e tv (internet era ancora per pochi intimi), Moratti reagì da tifoso arrabbiato: oh finalmente, bravo Mister, bisogna prenderli tutti a calci in culo quei fannulloni! Poi però i giocatori, nel lungo e malmostoso viaggio di ritorno, formarono gruppetti tristi e risentiti, permalosi e arrabbiati. Prima dell'imbarco dall'aeroporto di Reggio Calabria, con la scusa di una sigaretta (altro flashback da preistoria), Laurent Blanc mi chiese da accendere e poi, con una fiammata orgogliosamente francese: "Che farà Moratti, adesso?". "Je ne sais pas", non so monsieur Blanc. Ma oggi come allora penso e mi interrogo: la squadra da una parte, l'allenatore dall'altra e il presidente mediatore nel mezzo? No. Al 99,9 per cento il presidente finisce dalla parte dei giocatori. Ma non - come si dice - perché si può esonerare un allenatore e non una squadra intera. No, non solo. La verità è che a qualsiasi presidente (minimamente tifoso) l'allenatore sta simpatico se vince. Diventa indifferente se pareggia. Si trasforma in insopportabile se perde. Andò così. E Lippi venne esonerato, nel giro di un paio di giorni. Il "bravo, ha detto proprio quel che doveva dire" diventò in poche ore "non si possono scaricare le colpe solo sui giocatori". Capito, cari Benitez e Garcia? La storia non si ripete: mai. Però qualcosa insegna: sempre.