È la fine di un mito? Oppure è semplicemente la continuazione di una tendenza: quella della diffusione di notizie false, incomplete, inesatte, per di più trafugate illegalmente e in parte modificate, insomma un altro capitolo della post-verità che si aggira per il mondo come un nuovo spettro?
Ognuno può avere naturalmente la propria opinione sul 'Beckhamgate', lo scandalo che ha avvolto David Beckham, l'ex-calciatore più famoso del pianeta, l'uomo più fotografato, il 50 per cento di una coppia inossidabile che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Chi non lo ama può credere che sia un imbroglione, un evasore fiscale, un furbastro che pretendeva perfino di diventare "sir", cavaliere. Chi lo rispetta può tuttavia proseguire a considerarlo un bravo ragazzo, un figlio del popolo che sarà anche diventato straricco ma si comporta generalmente con onore e con giudizio, che si tratti di portare la torcia olimpica per la Gran Bretagna o di fare beneficenza.
I fatti della vicenda che occupa da giorni le prime pagine dei giornali inglesi, e non solo inglesi, sono questi. Due anni fa una società di pubbliche relazioni portoghese che ha tra i suoi clienti anche Beckham ha subìto un attacco digitale da parte di hacker anonimi, i quali si sono portati via migliaia di email, incluse quelle tra i pierre della ditta e l'ex-campione di Manchester United, Real Madrid, Los Angeles Galaxy e - brevemente - pure del Psg e del Milan, oltre che dell'Inghilterra. In seguito si sono fatti vivi con un ricatto, pretendendo dalla società di pubbliche relazioni un milione di euro per non pubblicare le email su David. La società ha rifiutato.
Nel dicembre scorso le email sono arrivate al Sunday Times, che si apprestava a pubblicarle, ma Beckham, interpellato dal giornale domenicale per avere la sua reazione, si è rivolto al tribunale che, esaminato il caso, ritenuto che non ci fosse sotto nulla di così importante da dover diventare di dominio pubblico, ma soltanto gossip, ha proibito al Times e a qualunque altro mezzo di informazione inglese di pubblicarle.
Senonché, qualche giorno fa, le email sono rispuntate in Romania, dove le ha pubblicate un giornale locale, e quindi in Francia, dove ne ha parlato l'Equipe, il quotidiano sportivo. A quel punto anche i tabloid di Londra si sono sentiti autorizzati a riportare la faccenda, citando i media stranieri. E in breve tempo ne hanno scritto tutti dappertutto. Gli esperti sulla privacy ammettono che, in un'era di media senza frontiere, dove chiunque può leggere sul web il sito di un giornale di un altro paese, la giurisdizione in materia è assai debole e di fatto non si può fare niente per impedire l'uscita di una notizia, a meno di ricorrere al tribunale in più paesi, per non dire in tutti, impresa difficoltosa.
Ma che cosa dicono le "notizie" contenute nelle email? Tre cose balzano agli occhi. La prima: Beckham è rimasto così male, quando ha scoperto di non essere stato nominato cavaliere, che scrive ai suoi collaboratori definendo il comitato che assegna il titolo (la regina si limita alla parte cerimoniale: la decisione viene presa dal governo britannico) "a bunch of cunts", il cui senso, in italiano, è più o meno "teste di c....". Ora, davanti alla rivelazione, l'ex-giocatore si giustifica affermando che è stata una reazione momentanea, a caldo, espressione della "normale delusione" di chiunque per qualcosa a cui teneva.
Secondo: tra gli ostacoli che la commissione giudicante ha trovato sulla strada del cavalierato per David c'era la sua partecipazione a un fondo di investimenti che, sebbene legale, consente una forma di elusione fiscale su cui il ministero delle Finanze sta indagando, con l'intenzione di non permetterla più. Beckham non ci fa una bella figura, ma scappatoie fiscali analoghe vengono usate in Gran Bretagna da decine di calciatori famosi, per esempio da Wayne Rooney, e da tanti personaggi che sfruttano la legge per pagare meno tasse. Insomma, lui non è certo l'unico.