A "1 Football Club", programma radiofonico condotto da Luca Cerchione in onda su 1 Station Radio, è intervenuto Fabio Viviani, allenatore dell’Hatta Club ed ex vice Napoli. Di seguito, un estratto dell'intervista.
È tra quelli che pensano che un passaggio del turno così importante, come quello ottenuto ieri dall'Inter possa cancellare le scorie e quindi anche la stanchezza fisica?
“A metà, nel senso che sì, perché il risultato ti dà un’adrenalina e una capacità di recupero e di motivazione che vanno oltre il normale, soprattutto a livello mentale. Ovviamente restano gli affaticamenti muscolari, ma l’adrenalina di un successo così importante ti fa ricaricare le batterie sicuramente più velocemente, anche se hai speso tantissimo.”
Perché gli allenatori “giochisti” alla Juve non funzionano?
“Bella domanda… La Juventus ha un DNA ben preciso, costruito in oltre cento anni di storia. Mi viene da pensare che questo influisca fortemente. È lo stesso discorso che si potrebbe fare per il Real Madrid. Sono squadre con una propria identità, una storia vincente, e anche con giocatori particolari. Per questo, a volte, è più complicato cambiare filosofia. Quest’anno, in particolare, si era cercato di cambiare, di ringiovanire, ma per fare questo serviva tempo, che a Thiago Motta non è stato dato. A Torino, però, il tempo non lo danno a nessuno: arrivare secondi, per la Juventus, è già un problema. Le pressioni sono immediate.”
Oggi molti ex calciatori preferiscono diventare dirigenti o addirittura proprietari di club piuttosto che allenatori: come mai?
“O, magari, presidente con i soldi degli altri, così è più facile! Scherzi a parte, fare il calciatore, per me, non è neanche un lavoro. È la cosa più bella del mondo, la passione più bella. Chi riesce a farlo è un privilegiato: rendere lo sport la propria professione è un sogno. Anche quelli che vengono chiamati ‘sacrifici’ in realtà non lo sono, perché fanno parte di ciò che sei. L’allenatore, invece, è tutta un’altra storia. Non è un ruolo adatto a tutti. Cambia completamente il modo di vedere le cose e la quotidianità. Il calciatore si allena, cura sé stesso, ha una routine precisa. L’allenatore, invece, se riesce a dormire la notte, è già tanto perché pensare a venticinque teste, più i dirigenti, il presidente, i tifosi… Anche dal punto di vista emotivo, è molto più semplice. Se l’allenatore è fortunato, la cosa più semplice che ha da fare è andare in campo. Quella è la parte bella, quella che ama. Il resto è molto più impegnativo: devi preparare l’allenamento, pensare all’avversario, alla partita passata, gestire la rosa, i dirigenti, i giornalisti… Tante, tantissime cose. Ripeto: se riesci a dormire, è già un lusso.”
Come si prepara e si gestisce una gara che potrebbe riportarti in testa al campionato, anche solo per una sera, contro una squadra che attende solo la matematica per certificare la retrocessione? Mi riferisco, ovviamente, a Monza-Napoli.
“La risposta è che Conte non sbaglia mai da questo punto di vista. Lo dico da tempo: non bisogna guardare in giro, ma restare focalizzati e determinati sul proprio obiettivo. La partita, se presa con superficialità, può diventare molto più complicata di quello che sembri. Quindi, niente distrazioni: impegno personale e di squadra, perché l’obiettivo è restare in corsa fino all’ultimo giorno.”
Da quando è tornato dall'infortunio, David Neres sta un po’ deludendo. All’inizio della stagione, da subentrante, riusciva a spaccare le partite. È solo un momento di flessione o il Napoli ha puntato sul cavallo sbagliato?
“Se facciamo paragoni con Kvaratskhelia, diventa complicato per tutti. Neres non regge il paragone con Kvara, quello che ha fatto lui, e che sta continuando a fare al PSG dopo il suo periodo di ambientamento, è da giocatore di altissimo livello. Neres è partito bene, un po’ a sorpresa. Tutti si aspettavano che potesse continuare su quella linea. Poi è arrivato l’infortunio, e nel frattempo le aspettative su di lui si sono alzate tantissimo. Ora deve dimostrare il suo valore, ma senza caricarlo troppo. Serve pazienza. Forse ha bisogno di qualche partita e allenamento in più, per ritrovare ritmo e fiducia. Non lo boccerei adesso, ma lo rimando. Le pressioni su di lui sono normali, forse le aspettative sono troppo alte. Ha preso il posto di un giocatore importantissimo, ceduto per tanti motivi, e tutti si aspettavano che lui fosse il sostituto naturale. Ma ogni calciatore ha i suoi tempi. Le qualità le ha dimostrate, prima dell’infortunio. Bisogna solo aspettare.”
Scott McTominay è il miglior centrocampista della Serie A?
“A me piace tantissimo, l’ho sempre detto. È un giocatore con una grande personalità ed ottime doti. Però sono italiano, e quindi dico che Barella sia il miglior centrocampista in Serie A. McTominay è fortissimo, lo metto al secondo posto. Sono anche due giocatori con caratteristiche diverse. Barella ama costruire gioco, abbassarsi, prendersi responsabilità nella costruzione. Il Napoli gioca in modo diverso, ma McTominay sta facendo un campionato eccezionale. Ha avuto lo stesso impatto che, due anni fa, ebbe Kvaratskhelia. Non lo conoscevo, ma ora sta sorprendendo davvero tanto.”