Siniscalchi, l'avvocato di Maradona: "La squalifica per droga, che amarezza! Mai preso coca prima delle partite"

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Siniscalchi, l'avvocato di Maradona: La squalifica per droga, che amarezza! Mai preso coca prima delle partite

L'avvocato Siniscalchi su Maradona

Napoli - E' stato l'avvocato di Maradona in tutte le vicende penali, a Napoli come a Roma. Vincenzo Siniscalchi custodisce ricordi intensi di quell'esperienza.

Siniscalchi-Maradona

Avvocato Siniscalchi, quanti ricordi ha su Maradona?
«Tanti, abbiamo condiviso momenti difficili, era un uomo di grandissima umanità. Dopo averlo conosciuto, sono diventato ancora più tifoso del Napoli».

Cosa amareggiava di più Maradona delle sue esperienze con giudici e tribunali?
«La sentenza di squalifica sportiva, dopo l'anti-doping positivo seguito alla partita del Napoli con il Bari che gli costò la squalifica di 18 mesi. La prima motivazione diceva che prendeva cocaina per migliorare le prestazioni sportive. Una follia. Le tracce di cocaina risalivano a quattro giorni prima della partita. Riuscimmo a far cambiare la motivazione, con quella generica di violazione delle norme deontologiche del codice sportivo».

Fu la principale amarezza?
«La seconda. La prima era stata la pubblicità televisiva alla nascita del figlio, che poi, dopo una tortuosa vicenda giudiziaria, ha riconosciuto e con cui ha recuperato un rapporto».

Poi le vicende penali: ricorda l'interrogatorio alla Procura di Napoli l'8 febbraio del 1991?
«Sì, accompagnai Maradona. L'accusa riguardava la droga, ricordo c'erano i pm Paola Ambrosio, Linda Gabriele, Luigi Bobbio. Per arrivare al terzo piano di Castelcapuano, sede della Procura, ci mettemmo molto tempo. La ressa, di agenti e dipendenti, era tanta. Tutti volevano un autografo e una foto. Successe altre volte e anche in maniera sgradevole».

Quando?
«All'aeroporto, ricordo che andai a prendere Diego e lo circondarono degli agenti. Gli chiesero autografi per ingannarlo sulla firma su un atto per evasione fiscale su cui era sempre risultato irreperibile. Se ne accorse e disse questo non è un autografo, ma è altro».

Ricorda la triste notte della partenza di Diego nell'aprile del 1991?
«Come dimenticarlo, ero nella sua casa di via Scipione Capece subito dopo l'anti-doping risultato positivo. C'erano due calciatori del Napoli, il suo manager di allora Marco Franchi. La moglie Claudia era già partita con le figlie. Lui rimase a lungo chiuso in bagno. Era depresso, il morale a terra. Gli avevo portato una pastiera, era il periodo pasquale. Attesi che uscisse. Non ha mai preso droga prima della partite».

Cosa le disse?
«Un giornale aveva pubblicato la notizia che i magistrati stavano per ritirargli il passaporto. Temeva di non riuscire a partire, aveva l'aereo da Roma. Chiamai Enzo Scotti, mio amico, che era ministro dell'Interno. Mi disse di dargli 5 minuti e mi avrebbe richiamato. Lo fece e rassicurò me e Maradona: non c'era nessun ritiro di passaporto, Diego poteva partire da un ingresso riservato all'aeroporto con lo sguardo vigile della polizia. Fu l'ultima sua notte a Napoli».

Poi le accuse del pentito Pietro Pugliese, sui due chili di cocaina che avrebbe portato in Italia su incarico di Maradona. Cosa accadde?
«Accusa assurda. Affrontai un processo trasferito a Roma. Maradona fu assolto su richiesta del pm che chiese l'invio degli atti al suo ufficio per calunnia. Con il collega Gigi Ferrante, citai come testi, e vennero in aula, tutti i calciatori della nazionale Argentina dell'epoca e i funzionari di dogana in servizio in quel periodo. Fu una soddisfazione».

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