Marino a CN24: "Castel Volturno? I Coppola fecero tre campi in tre mesi, l'hotel mi prestò una stanza per l'ufficio! Il centro sportivo 'nacque' grazie al maitre..."

Le Interviste  
Marino a CN24: Castel Volturno? I Coppola fecero tre campi in tre mesi, l'hotel mi prestò una stanza per l'ufficio! Il centro sportivo 'nacque' grazie al maitre...

Ultime notizie Napoli - L’ex dg del Napoli Pier Paolo Marino è intervenuto in diretta ai nostri microfoni durante ‘Presidente per un’ora’, trasmissione in onda su CalcioNapoli24 TV (79 Digitale Terrestre). Ecco quanto evidenziato da CN24.

“La prima vision di De Laurentiis con il calcio? Per la verità Aurelio aveva la vision giusta, non conosceva il calcio negli aspetti tecnici e gestionali ma aveva un concetto chiaro: il calcio doveva essere gestito come una azienda tipica e non atipica. Mi mise le chiavi in mano, altrimenti non mi sarei spostato da Udine dove facevamo la Champions League ed avevo fatto la squadra ad agosto comprando Di Natale. Devo dire che il presidente è una carta assorbente, osserva i collaboratori e attinge ciò che c’è di buono: ogni manager si prendere delle responsabilità e fa cose buone o meno. Io ero l’unico ad avere il potere di firma sui calciatori, oltre lui, ma per i primi cinque anni non ha mai invaso il campo. Aveva la visione giusta anche se c’era bisogno di capire come realizzare una visione che era molto ampia.

Fassone con De Laurentiis ha lavorato poco, quando è arrivato c’erano già stati più di cinque anni di lavoro: De Laurentiis aveva deciso poi di prendersi in prima persona alcune responsabilità, era già consapevole perchè aveva capito tante cose. I conti del Napoli già allora erano perfetti, impostai la società che in Serie B era già virtuosa ed era in utile l’anno della promozione in Serie A.

Aurelio è uno che capisce subito le cose, ho potuto plasmare il Napoli e anche il centro sportivo di Castle Volturno fu una idea mia: giravamo i campi della provincia e dell’hinterland, vidi disperato questi quattro riflettori che c’erano nel campo di golf dell’albergo, chiesi ad un cameriere se fosse prima un campo di calcio: il maitre dell’hotel, Gioacchino, mi disse che era un galoppatoio privato della famiglia Coppola. Pensai potesse essere un campo da ripristinare, mi dissero di parlare con i Coppola che un campo di calcio l’avrebbe fatto in poco tempo.

Coppola fu disponibilissimo, mi chiese solo la rassicurazione di restare lì con il Napoli per cinque anni: costruì i campi a spese sue e non si prese affitto, da compensare tramite sponsor. E ancora adesso viene utilizzato dopo esser stato arricchito in vent’anni. Dovetti pure inaugurarlo senza chissà quali cerimonie, Coppola rifece i tre campi in tre mesi.

Le deleghe di De Laurentiis? Per cinque anni fino al rinnovo per altri cinque, per accordi contrattuali quando ho lasciato Udine per scendere in Serie C grazie all’aiuto della proprietà Pozzo, al Napoli avevo chiesto autonomia e budget necessario per la Serie C: usai tre milioni di euro sui dieci che erano stati prefissati. Il Napoli inizialmente si accollò il costo del mutuo acceso da De Laurentiis per acquistare il club, dalla C alla Serie A in quattro anni partivo sempre da meno tre milioni e mezzo a bilancio, perchè il club pagava l’acquisto al proprietario. E per mia regola, non spendevamo più del 55% dei ricavi. Ricordo la UEFA a Lisbona, quell’anno il Napoli aveva 35 milioni lordi di stipendi per giocatori e tecnici, circa 25 milioni netti.

Più difficile gestire il Napoli in C oppure quello dei tempi di Maradona? Per me la C era un pianeta sconosciuto, ho avuto la fortuna di frequentare fino al 2004 solo A e B. La Serie C mi era sconosciuta e l’ho trovato un campionato difficile, ne siamo usciti bene al secondo anno dopo aver fatto una parte del primo anno con gli scarti delle altre squadre. Fu difficile anche perchè per fare un discorso sostenibile servivano i ricavi, ed in C non andammo oltre i 12-13 milioni a fronte di costi che sfioravano i 14-15, si doveva risalire subito altrimenti si perdevano le potenzialità di ricavi in B ed in A.

Scriverò un libro sulla mia esperienza di Napoli, ma solo quando non ci sarà un futuro ancora davanti a me: spero di poter scrivere qualche altra bella storia a livello calcistico, ma da manager se mi guardo indietro diciamo che l’impresa fatta a Napoli, dove vivevo a Castel Volturno e gestivo tutto in prima persona, ed essere andati in quattro anni dalla C alla Coppa Uefa, con i conti che al primo anno di A incassavamo 140 milioni e ne spendevamo circa 80, era una situazione da squadra che non doveva retrocedere. E invece eravamo la squadra più giovane d’Italia con l’Udinese, Hamsik, Lavezzi, Gargano tutti ventenni o poco più. Avevano ingaggi bassi, Lavezzi guadagnava 600mila euro netti e Hamsik 120mila: cose che a raccontarle oggi nessuno ci crede.

Se non si conosce la materia è difficile sapere come è sostenibile una società, se pensiamo a club con bilanci in profondo rosso: il Napoli e De Laurentiis hanno dimostrato che le cose sono state assorbite bene, sulla strada intrapresa ha fatto benissimo.

De Laurentiis ha confermato di aver assorbito tanto da me? Quando arrivai a settembre 2004 avevo un presidente che non conosceva il calcio ed aveva un progetto difficile da realizzare in tempi brevi nel calcio: ci siamo riusciti. Avevo solo la carta dell’acquisizione del club, l’allora Napoli Soccer. Tutti raccontano la storia delle magliette che non c’erano, ed era vera, ma era la parte più accessibile a tutti da acquistare. Non c’erano uffici, a me l’avevano prestato all’hotel di Castel Volturno, non avevamo nemmeno i computer e nemmeno un campo dove allenarci. C’era solo la denominazione del Napoli Soccer e l’iscrizione in Serie C con il campionato già alla terza giornata. Il futuro del Napoli è roseo, vedo grande positività.

La politica economica è sempre la stessa, a patrimonio ci sono riserve che possono essere utilizzate: io penso che sia importante mantenere sempre il costo giocatori-tecnici in un certo parametro percentuale dei ricavi. Mantenendo i costi strutturali in ordine, bisogna pensare ad aumentare i ricavi e poi fare gli investimenti possibili. Se un giocatore chiede 10 milioni di ingaggio, è giusto dirgli noâ€

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