Inglese, il primo allenatore: "Quando non segnava non parlava più e mi chiedeva scusa. Giocava con i grandi, ma aveva un difetto"

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Inglese, il primo allenatore: Quando non segnava non parlava più e mi chiedeva scusa. Giocava con i grandi, ma aveva un difetto

Roberto Inglese, attaccante del Napoli in prestito al Chievo, è cresciuto nella società dilettantistica PGS. Michele La Varghetta, attuale responsabile del settore giovanile della PGS e primo allenatore in assoluto di Inglese ha rilasciato alcune dichiarazioni su Roberto a Gianlucadimarzio.com:“I bambini della nostra scuola calcio stravedono per Roberto. Quando torna a Vasto organizziamo sempre una festicciola insieme a tutti i piccoli e le loro famiglie dove ovviamente anche Roberto è presente. Gli chiedono foto e magliette ed è sempre molto disponibile. È il nostro orgoglio. Ho tanti ricordi di Roberto da bambino. Lo vedevo giocare al campetto e mi sembra ieri che veniva a vedere i nostri allenamenti ma stando sempre fuori. Così un giorno lo invitai ad entrare in campo e non ci pensò due volte. È stato con noi dal 2001 al 2004. Poi, non avevamo la squadra dei Giovanissimi così lo portai alla Virtus Vasto.

Nella nostra scuola calcio vogliamo creare uomini prima che calciatori. Infatti anche Roberto, nonostante fosse bravissimo, quando andava male a scuola veniva messo in panchina. Lui si arrabbiava perché voleva giocare sempre! Per fortuna succedeva raramente visto che a scuola era molto bravo. Quando era a casa studiava, veniva al campo e poi tornava a casa a studiare. Andavo a parlare coi professori di tutti i ragazzini che allenavo e solitamente mi sentivo dire ‘Roberto va bene!’. Ma quando mi dicevano ‘Roberto ha preso un brutto voto in matematica’ allora scattava la panchina.

È sempre stato un ragazzo serio ma soprattutto umile e semplice. Nonostante fosse abbastanza silenzioso non faceva fatica a legare con gli altri. Era il primo a presentarsi al campo d’allenamento e l’ultimo a lasciarlo. Si applicava con tutto se stesso e sapeva già calciare con entrambi i piedi, tanto che lo mandavamo a giocare coi più grandi. Si divincolava dagli avversari come se niente fosse e giocava sempre a testa alta. Anche se secondo me la sua abilità principale era saper giocare già allora anche senza il pallone. Si vedeva come fosse destinato ad arrivare in alto.

Il suo difetto? Era un po’ lento nelle ripartenze. Gli facevo fare esercizi specifici ed è migliorato molto. Spesso mi fermavo al campo solamente con lui per allenarlo anche terminato il normale allenamento. Pensate che quando sbagliava un gol a fine partita veniva a chiedermi scusa. ‘Stai tranquillo Roberto ma la prossima volta quella palla si deve mettere dentro’, rispondevo io. Quando non segnava si arrabbiava e quasi non parlava. Si cambiava, si rivestiva zitto zitto e se ne andava. La mamma vedendolo imbronciato gli chiedeva ‘Che è successo Robè?’. ‘Non ho fatto gol!’. 

Roberto viene da una famiglia operaia ed è sempre stato seguito molto. Non gli hanno mai fatto mancare niente. Il papà, Antonio, faceva i turni, mentre la mamma, Rosalba, è casalinga. Era lei che, insieme alla zia, lo portava agli allenamenti. Circa un anno e mezzo prima che andasse al Pescara l’avevo già portato da loro ma mi dissero di aspettare ancora almeno un anno per farlo crescere. Quando andò al Pescara mi disse ‘Mister, la Virtus mi ha venduto’. Ci rimasi male perché nessuno mi aveva avvisato. Ancora oggi Roberto quando gioca mi telefona e quando torna chiede sempre di me. A volte andiamo anche a mangiarci una pizza insieme. Mi domanda se l’ho visto in tv e io gli rispondo ‘Quando ti vedo segni sempre’. Allora mi chiede di non perdermi nemmeno una partita".

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