Ottavio Bianchi, ex allenatore storico del Napoli poiché artefice del primo scudetto azzurro, ha rilasciato un'intervista al Corriere dello Sport. Anche il Napoli della stagione 1970-1971 subì solo due reti in nove partite:
Bianchi, ma lei c'era pure allora, 45 anni fa.
«Ero in campo però, non in panchina. Ricordo benissimo che imboccammo subito la strada giusta e furono dolori. Ma per gli altri».
Solo due gol presi in nove incontri: altri punti in comune col presente?
«Per la verità nessuno. Due compagini profondamente diverse, soprattutto due modi di giocare agli antipodi. Ma, si sa, a volte gli estremi si possono toccare. Che abbiano un po' gli stessi numeri è da imputare a pura coincidenza».
Ma cos'avevano di così tanto diverso?
«Un po' tutto. Allora le squadre non erano raccolte in venti metri, ma lunghe novanta e si correva anche di più. Soprattutto per quelli in mediana il campo diventava interminabile».
Un po' il suo caso, quello del mediano di spinta...
«Certo. Allora si diceva centromediano metodista. Ci si collocava davanti alla difesa, da interditori sul centravanti, e ci si doveva spingere sino all'area avversaria, costruendo gioco o cercando se possibile la via del gol. Perciò, hai voglia a correre!».
Ma come riusciste all'inizio a subìre così poco?
«Avevamo un'ottima organizzazione di gioco, inoltre eravamo affiatati. E poi facevamo una cosa che allora non tutti facevano: alcuni dei nostri attaccanti, come Ghio e Sormani, spesso tornavano. Cosa non troppo comune, perché a quei tempi chi giocava avanti di solito là rimaneva. Chiappella aveva visto giusto. Anni dopo da allenatore del Napoli riproposi la cosa, convincendo il pur restio Carnevale a farsi sgroppate per i recuperi. Fu una delle mosse vincenti per arrivare al tricolore».
Ecco che siamo arrivati alla parolina magica, quella che non si nomina.
«Tiro a indovinare: vuole sapere se il Napoli può vincerlo? Non sono scaramantico e, per ciò che vedo adesso, gli azzurri sono i migliori nel lotto delle pretendenti. Questo Napoli mi piace e mi diverte molto. E' ben allenato e sempre più organizzato. La stessa difesa, indicata negli anni scorsi come punto debole, è cambiata perché adotta un diverso tipo di organizzazione. Non erano carenti gli uomini, ma l'organizzazione degli stessi. Per il resto, vedo una Roma molto forte ma che va a sprazzi; una Fiorentina parecchio migliorata ma forse non ancora pronta; un'Inter tornata vincente ma che non mi convince del tutto; ed una Juve che dovrebbe fare troppa fatica per recuperare. Mi piacerebbe molto se il Napoli si staccasse».
E il suo Napoli dello scudetto?
«Anch'esso molto diverso. Anche allora, come quando giocavo, non c'erano i numerini per distinguere gli schemi. Era tutto un altro calcio».
Dissero di lei che riusciva a restare distaccato anche quando c'era da festeggiare il primo tricolore della storia azzurra.
«Mi emozionavo, certo, ma dentro. E non per i risultati, quello faceva parte dei miei compiti. Ma per i magazzinieri, i massaggiatori, chi sgobbava dietro le quinte. Riuscivo a sentirmi sempre a mio agio. Napoli e il Napoli continuano a vivere dentro di me».