Bagni: "Dopo la morte di mio figlio mi feci sterilizzare. Rubarono la bara, andai dai sequestratori col giubbotto antiproiettile"

Le Interviste  
Bagni: Dopo la morte di mio figlio mi feci sterilizzare. Rubarono la bara, andai dai sequestratori col giubbotto antiproiettile

Salvatore Bagni, ex giocatore del Napoli, ha rilasciato una settimana fa una intervista al Corriere della Sera. Ecco uno stralcio della lunga intervista: 

Nel 1992 invece suo figlio Raffaele le morì fra le braccia. Aveva 3 anni.
«Eravamo tutti e cinque in macchina, guidava mia moglie. Stavamo andando pianissimo, a 38 km/h. Un’auto non rispettò lo stop e andammo a sbattere contro un muretto. È stata fatale l’apertura dell’airbag. In quel momento ce l’avevo in braccio e non sedeva dietro perché era stato appena allattato e temevamo che potesse vomitare. Noi genitori abbiamo cercato di restare vicini ai suoi fratelli, affidandoci a degli psicologi anche per quello che è successo dopo». 

La salma venne trafugata.
«Ce l’hanno portato via per la seconda volta. Saranno stati almeno in quattro a scavalcare il cancello e a entrare in quel cimitero, prelevando la bara dall’alto. Ci chiesero dei soldi, 300 milioni di lire, anni dopo un procuratore ci disse che probabilmente sarebbero serviti per finanziare il sequestro Soffiantini. Alle chiamate dei sequestratori rispondevo direttamente io, dovevo cercare di intrattenerli il più possibile per far sì che i Ros li intercettassero. Li avrei pagati, ma me lo impedirono. Un giorno ci accordammo, ci saremmo dovuti incontrare a Predappio. Mi misi alla guida con una valigetta di soldi falsi e il giubbotto antiproiettile».

E come andò?
«Avevo una macchina dietro e tre agenti del Ros nascosti con me. Dovevo avere una bicicletta sul tettuccio così che i sequestratori mi potessero riconoscere, poi mi avrebbero lanciato dei segnali luminosi dopo una quarantina di chilometri. Abbiamo ripetuto il tragitto per tre o quattro volte, nessuno si è fatto vivo. Forse avevano capito che non ero solo, forse non mi hanno visto. Quel giorno c'era una nebbia fittissima».

C'è stata una seconda possibilità?
«Da lì il silenzio assoluto. Ho ricevuto tante lettere di pentimento dal carcere, ma mai una confessione. Molti dei protagonisti ritenevano inaccettabile offendere in quel modo la memoria di un bambino morto appena un mese prima ma temevano di essere uccisi se avessero parlato. Il dolore per Raffaele non passerà mai, però lui vive sempre accanto a noi». 

Ha mai desiderato fare un altro figlio?
«Non esiste la copia di un figlio. Ne avevo già avuti tre, avevo già la mia famiglia. Decisi di farmi sterilizzare»

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