Arrivò a Napoli, nel 1990, grazie ad un’intuizione di Luciano Moggi, all’epoca direttore generale degli azzurri. Vinse una Supercoppa Italiana contro la Juventus in finale, ha vissuto il periodo più buio di Diego Armando Maradona a Napoli e ricorda ancora le serate a Il Poeta e da Ciro a Mergellina. Ivan Rizzardi, bresciano doc, con un lungo vissuto a Cremona, si è raccontato a tutto tondo ai microfoni di CalcioNapoli24.it:
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Cresciuto calcisticamente nella Cremonese, la tua prima esperienza da professionista con Mondonico in panchina. Eravate entrambi molto giovani, che ricordo hai di lui? “Quando lo conobbi avevo tredici anni, entrai nello spogliatoio a Cremona e disse a tutti ‘non voglio essere chiamato mister, ma Mondo!’.Per tutti noi rappresentava la Cremonese, prima da calciatore e poi da allenatore. Credo che, a livello tecnico, sia stato l’allenatore più importante d’Italia. Dopo tre minuti di partita riusciva a capire cosa aveva sbagliato e cosa avrebbe dovuto correggere. Era davvero un grande!”.
Che tipo era il Juary che hai conosciuto a Cremona? “L’ho vissuto poco, solo per pochi mesi. Arrivò a Cremona a dicembre ed andammo via insieme, a maggio. Era il classico brasiliano, giocava a calcio per divertirsi. Poi passò dal sole del sud alla nebbia del nord, non fu facile il suo ambientamento”.
In quella squadra c’era anche Attilio Lombardo. “E’ un carissimo amico. Una volta all’anno facciamo una rimpatriata di quel gruppo e ci vengono circa 50 persone, tra cui Attilio e il mister Mazzia. Lombardo era un simpaticone e lo è tutt’oggi”.
Però devo ammettere che m’innamorai di Alviero Chiorri. “Eh. Maradona non entra in alcuna classifica tecnica, però Chiorri è tra i dieci giocatori più forti di sempre in Italia. Lo paragono ai Baggio, ai del Piero ed ai Totti. Alviero, in allenamento, non era così distante da Maradona e so cosa dico. E’ il calciatore italiano più forte con cui abbia giocato”.
A Napoli nel 1990 grazie ad un’intuizione di Luciano Moggi, all’epoca direttore generale azzurro. Cosa lo colpì di te? “Credo le mie qualità fisiche anche perché non ero così bravo tecnicamente. C’era Francini ch’era più bravo a livello qualitativo rispetto a me. Io avevo una forza fisica incredibile, ma fino a quando non arrivai a Napoli. Ti spiego. L’anno prima, a Cremona, subii un infortunio pesante ed ebbi una lacerazione di nove centimetri ad una coscia e la lacerazione parziale del crociato. Se non stavo bene dal punto di vista fisico ero un calciatore normale. All’epoca la medicina non era così sviluppata e persi il 25% della forza dell’arto. Ricordo come se fosse ieri quando mi dissero che sarei andato a giocare al Napoli. Ero a tavola coi miei genitori, mi chiamò il presidente e mi disse ‘guarda che t’abbiamo venduto al Napoli’. ‘Mi stai prendendo per il culo?’, gli dissi. Luzzara mi rispose ‘se ti ho chiamato io è perché per me è un’enorme soddisfazione darti questa bella notizia’. Eravamo tutti felici, pensa che due giorni dopo questo avviso, incontrai in Liguria Luigi Gualco, mio ex compagno alla Cremonese, che si presentò con la maglia di Careca per farmi un regalo”.
Come fu il tuo impatto con lo spogliatoio? “Ottimo, entrai in punta di piedi perché quel Napoli era fatto di tutti nazionali, reduci dal Mondiale. Poi mi misero a mio agio. Sento spesso diversi calciatori di quella squadra”.
La prima cosa che ti disse Maradona quando vi conosceste? “Non mi ricordo, ero talmente agitato quando lo vidi che nemmeno ricordo cosa disse. Eravamo sette o otto nuovi della squadra, lui arrivò in ritiro, ad Imola, si sedette a tavola, si presentò e ci salutò tutti. Di lui ricordo una volta in una seduta di massaggi, eravamo in quattro, arrivò Diego e si mise in fila. Noi gli facemmo segno di passare avanti, era pur sempre Diego. Lui ci disse ‘macchè, perché dovrei passare avanti? Ci state prima voi’”.
Giocartela con Francini non fu facile per te. Ci fu un periodo della stagione in cui pensasti di poterti prendere il posto da titolare? “Ci sentivamo tutti sempre titolari in quel Napoli, feci venticinque presenze di cui la metà da titolare. Chi giocava di meno non portava rancore”.
Con chi legasti di più quell’anno? “Il mio più grande amico era Andrea Silenzi, ma anche Alessandro Renica. Tutt’ora sento Crippa, Ferrara, Venturin e anche Taglialatela. Ultimamente ho visto anche Marco Baroni proprio a Cremona”.
“Un forestiero quando arriva a Napoli piange due volte, quando arriva e quando parte”. Questa frase potremmo legarla anche a te che sei un bresciano doc? “Assolutamente sì. I napoletani sono incredibili e sono belli così come sono. Sono accoglienti, simpatici, esuberanti. Per me Napoli è tra le più belle città d’Italia. La prima è Roma, la seconda è Brescia perché sono bresciano e la terza è Napoli”.
Che facevi nel tuo tempo libero? “Ero single, ma il tempo libero era davvero poco. Passavamo il tempo tra di noi, poi abitavamo tutti a Posillipo e a Napoli non era facile girare per via del traffico. Eravamo spesso in viaggio e non c’erano chissà quanti momenti di libertà. Gli scapoloni, tra cui io, andavano spesso a mangiare da Il Poeta o da Ciro a Mergellina. Quando arrivavamo ci riservavano un trattamento diverso, non c’era caos e non c’erano le persone che venivano a scocciarti”.
Certo che esordire al San Paolo, seppure subentrando dalla panchina, in una finale di Supercoppa Italiana tra Napoli e Juve e vincerla non è roba da tutti i giorni. Che momento hai vissuto all’80’ di quella gara quando prendesti il posto di Crippa? Che ti disse Bigon? “Ricordo il momento in cui uscì dal campo perché avevo un mal di testa fortissimo per via del grande tifo dei napoletani presenti al San Paolo. Ad oggi vedo spesso Dario Bonetti e il mister di quella Juve, Maifredi. Li saluto con la ‘manita’. Maifredi mi dice ‘preferisco che non mi saluti se devi farlo così’”.
La tua unica rete stagionale col Napoli fu all’Olimpico di Roma, all’80’ arrivò il pareggio di Ivan Rizzardi. Ricordi ancora quell’azione? “Certo che sì. De Napoli battè una punizione a centro area, spizzata di testa di Incocciati ed io, sempre di testa, battei Cervone. Quella partita sembrava non riuscissimo più a pareggiarla, che soddisfazione!”. Guarda il video del goal.
7 novembre del 1990. Spartak Mosca-Napoli, gara valevole per il ritorno degli ottavi di finale di Coppa Campioni. Moggi disse che chi non sarebbe partito con la squadra non avrebbe giocato. Guarda un po’, fu proprio Maradona a non partire con la squadra. Come apprendeste che arrivò in Russia? “Entrò in albergo con una pelliccia di lupo nero. Era difficile voler male ad uno come Diego. C’erano dissidi tra lui e la società e scoccò la scintilla affinchè lui non partisse con noi prendendo posizione proprio nei confronti della società. Ricordo che quando ci raggiunse a Mosca uscimmo tutti fuori le camere d’albergo per abbracciarlo. Nessuno di noi pensò che ci avesse abbandonato, qualcuno di noi provò anche a convincerlo a partire con noi, ma non ci fu nulla da fare. Da lì iniziò il suo periodo più buio…”.
Ricordi anche quando risultò positivo ai controlli antidoping? “Era un Napoli-Bari, ai controlli ci andavano un po’ tutti e tutti noi eravamo tranquilli. Si sapeva da tempo che Diego avesse quel brutto vizio, ma di sostanze dopanti nessuno di noi ne faceva uso. La cosa che ci preoccupava era la sua dipendenza, ma proprio quandò risultò positivo lui non faceva più uso di certe sostanze”.
Un aggettivo per Antonio Careca. “Fenomeno”.
Zola. “Grande calciatore e grandissima persona”.
Silenzi. “L’amico”.
Ferrara. “Il sindacalista”.
Renica. “L’insicuro. Prima di ogni partita, per caricarsi, palesava sempre tanti dubbi e paure. Poi scendeva in campo e non ne sbagliava una”.
De Napoli. “Il simpatico. Lui era ancora più napoletano e più verace di Ciro (Ferrara ndr.)”.
Alemao. “L’ho sentito circa sette mesi fa e ricordo una persona diversa da quella che è oggi. Da calciatore era un carismatico, una persona buona che sapeva sempre come darti manforte. Oggi gestisce una comunità per il recupero di ragazzi tossicodipendenti in Brasile. Zappa la terra, raccoglie le uova, accudisce gli animali e fa del bene agli altri. Tutti noi dovremmo avere un po’ della sua persona dentro per essere migliori”.
Incocciati. “Un talento che non è riuscito ad emergere come avrebbe dovuto”.
Dopo il Napoli passasti al Bari. Con te c’era anche un certo Zvonimir Boban. Un episodio sul croato. “Quando arrivò a Bari, dopo quindici giorni, prese l’epatite per aver mangiato i frutti di mare. Vedemmo pochissimo di lui. Zvone ebbe un vissuto molto turbolento per la guerra nell’ex Jugoslavia, ma nonostante ciò era un tipo sereno”.
E Platt invece? “Ricordo che aveva buoni rapporti con tutti, ma portava sempre con sé l’interprete per via delle difficoltà che aveva ad apprendere l’italiano. Era un gran lavoratore dalle enormi qualità fisiche e meno tecniche. A Bari fu usato anche per altri scopi, lo portavano in giro per i locali, era la star da mostrare agli altri”.
In un recentissimo Brescia-Napoli si sono sentiti cori contro i napoletani tipo ‘Vesuvio lavali col fuoco’. Cosa ti senti di dire in merito? “Non andrebbero nemmeno commentati, quelli sono imbecilli e non tifosi. Sono persone che vanno allo stadio per sfogarsi e non per vedere la partita. Tante volte il sud è stato da esempio al nord e viceversa, io credo nell’unità d’Italia”.
Com’è la situazione a Brescia per il Coronavirus? Come la state vivendo? “Siamo a casa da due mesi e fortunatamente io ed i miei familiari non abbiamo avuto problemi di salute. Ho perso parecchie persone che conoscevo per questo maledetto virus, ieri ho avuto la notizia che anche un mio ex compagno è risultato positivo. Si vede un po’ di luce a livelli di decessi e ricoveri, ma siamo messi ancora molto male. Dobbiamo restare in casa e se decidessero di farci uscire mi auguro che si prendano le giuste precauzioni. Chi lavora in ospedale mi ha detto che la guerra non era peggio di questo periodo. Le persone stanno morendo sole, senza che nessuno possa andare a trovarle in ospedale e senza fare funerali. Ciò che raccontano le tv ed i giornali è vero, ma la realtà è ancora peggio. Da noi non si trovano nemmeno le mascherine”.
Progetti per il tuo futuro? “Faccio ciò che m’è sempre piaciuto fare, mi occupo dei giovani e l’ho fatto a livello professionistico in Serie C. Oggi lavoro all’A.C Calvina per il settore giovanile, ma dal 1 luglio passerò all’A.C Ghedi, società affiliata al Milan con circa cinquecento ragazzi. Lì farò il responsabile tecnico”.
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