22 aprile 1986, martedì. “Ero a scuola con tanti bambini come me non vedenti. La preside mi convocò e mi ordinò di prepararmi perché i miei genitori mi stavano venendo a prendere. Era insolito che uscissi da scuola in anticipo, pensai che fosse per il mio compleanno. Non feci domande”. Il racconto è di quelli che ti lasciano il segno, per sempre. Gaetano Orefice ha 39 anni, è non vedente da quando era ancora un bambino. “Ricordo alcune cose di quando ancora riuscivo a vedere. Il manto erboso del San Paolo. L’azzurro, lo ricordo bene. Un colore che nei momenti bui della mia vita mi dà serenità e voglia di rialzarmi. Le immagini hanno sicuramente un impatto diverso, restano impresse davanti agli occhi per sempre ma l'occhio del cuore, quando si ama davvero, vede in maniera più profonda di un qualsiasi occhio dotato di vista più acuta. Io con la mia radiolina, e grazie ai miei amici in curva, posso andare allo stadio, e mi capita anche di esultare in anticipo”. A otto anni la prima volta al San Paolo col papà, poi con i cugini e adesso con gli amici. A distanza di oltre trent’anni nulla è cambiato, la passione per la sua squadra del cuore è più forte di qualsiasi impedimento. Almeno finora gli è stato impossibile accedere come un normale disabile lì dove dovrebbe esserci un posto anche per lui. “Avevo un sogno da realizzare, ci sono riuscito da bambino. Adesso non mi resta che sperare ancora”. Era il giorno del suo compleanno… “Mamma cercava di nascondere l’emozione e mi chiese come mai non facessi domande. Era così bello tornare a casa di martedì, anziché aspettare il sabato, che non pensavo ad una motivazione particolare. Però poi il suo sorriso mi incuriosì, fece un lungo respiro e mi disse ‘Zio Salvatore è riuscito in una cosa che ha sempre desiderato fare per te e domani anche se con un giorno di ritardo vuole farti un regalo. Domani... incontrerai Maradona!’ Non credevo a ciò che avevo sentito. Ma chi, io? Maradona? Uno choc immediato. L’avevo visto solo in poster la sera che fu annunciato il suo acquisto, prima che perdessi completamente la vista. "Allora gli chiederò questo, gli farò dire quello, mi farò spiegare, dire, raccontare..." e la fantasia del bambino si scatenò in tutte le cose che avrebbe voluto dire. Poche ore lo separavano dal giorno successivo: “Andai al San Paolo dove gli azzurri si stavano allenando, mi fecero accomodare in panchina, per poco una bordata di Giordano non colpì mia madre. Mi dissero che mi stava raggiungendo Maradona, scoppiai in lacrime, non riuscivo a smettere di piangere. Non ricordo di aver mai pianto come quel pomeriggio. Mi abbracciò forte, col calore di un padre mi accarezzò la testa, mi rassicurò ed aspettò che mi calmassi. Era lui che fece domande a me, volle sapere tutto. Mi regalò il pallone con la sua dedica, ero così emozionato e rimbambito che lo dimenticai lì”. Il giorno dopo Gaetano tornò in istituto, era taciturno ed immerso un’altra dimensione. Persino la sua maestra si preoccupò. Un anno dopo il Napoli vincerà il primo Tricolore. Ma come in tante altre occasioni, Il Pibe de Oro regala alla Città emozioni ben più forti. Viveva con la gente e per la gente.
La chiamata che non ti aspetti. “Era trascorso un anno da quando lo incontrai, arrivò una telefonata a scuola. ‘Cerchiamo Gaetano, ha 11 anni e ad aprile compie gli anni’. Quando andai via dallo stadio, Maradona si annotò quello che gli avevo detto di me e mi cercò in occasione della sua presenza alla trasmissione su Tele A. Disse che sarebbe andato come ospite se mi avessero rintracciato e portato lì per trascorrere la serata con lui. Cantò ‘O surdat Nnammurat. Non potrò mai dimenticare, ha un cuore più grande di quanta classe abbia in campo. Dovrebbero dargli la libertà di poter fare quello che faceva quando stava qui a Napoli. Troppe speculazioni e cattiverie, sono sicuro che se potesse riprenderebbe da dove si è fermato. Regalando emozioni, in un modo diverso questa volta. Magari con iniziative che, purtroppo, non sfiorano quasi mai le società. Io stesso, da non vedente, non sono mai riuscito a mettermi in contatto con la società per toccare con mano, almeno una volta nella vita, l’esperienza di assistere ad una partita a bordo campo. So che succede in molti stadi, soprattutto all’estero. Qui a Napoli è impossibile”.
SOLO DUE PASSIONI - Gaetano, orgoglioso cittadino di Barra, ogni domenica con tutti i suoi amici, i fedelissimi Enzo e Giuseppe, va allo stadio quando il Napoli gioca in casa con il suo abbonamento in Curva B. Anche all’Olimpico, per la finale di Coppa Italia, non poteva di certo mancare. E non ha perso neppure un minuto dei festeggiamenti in strada, così come quando scese in strada per la promozione in B. Durante la settimana lavora per l’Agenzia delle Entrate, scrive testi delle canzoni per la famosa kermesse folkloristica dei Gigli, la Festa dei Gigli, e aspetta il week end per gustarsi la partita. A casa sua tutto diventa azzurro, un piccolo San Paolo pronto a gioire con il resto della famiglia. Arriva la telefonata del fratello, puntuale a fine partita. Quando il Napoli gioca, mamma Carmela spera sempre che vinca per non vederlo triste. Papà Umberto a breve tornerà sugli spalti col figlio dopo anni di assenza. In casa tifano tutti Napoli, non potrebbe essere diversamente. Una passione così grande capace di trasformarsi in una eterea forma di felicità nonostante, nella vita quotidiana, non sia tutto così splendente come l’azzurro del cielo, del mare e del Napoli.
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