di Dino Viola
Dici Udinese e ripensi inevitabilmente a quella squadra che seminava scompiglio tra le sette sorelle verso metà e fine anni ’90. Alcune stelle come Bierhoff e Marcio Amoroso, tanti validi come Helveg e Poggi ma anche una certezza tra i pali: Luigi Turci. CalcioNapoli24 lo ha intervistato in vista della sfida coi friulani, ripercorrendo la sua carriera tra gratificazioni e occasioni sfumate. La Cremonese non poteva scegliere di meglio come attuale preparatore dei portieri: di contro, noi non potevamo non soffermarci sulla figura dell’estremo difensore.
Chi è il numero uno?
“Quando ho iniziato da ragazzino ero tifoso dell’Inter e Zenga per me era un punto di riferimento essendo anche il portiere della Nazionale. All’epoca per esserlo dovevi avere un rendimento altissimo poiché la concorrenza era davvero eccezionale”.
Vero. Tanta concorrenza tra i portieri italiani, considerati tra i migliori. Una volta. Cosa è cambiato?
“La sentenza Bosman ha cambiato un po’ tutto, ci sono più portieri stranieri e questo ha penalizzato la nostra Nazionale. Poi con le evoluzione tattiche e il cambio delle regole si è avuto un coinvolgimento più attivo del portiere. Ad esempio la regola del retropassaggio o col fuorigioco esasperato: tante cose che hanno spostato la preparazione del portiere verso l’aspetto tattico più che tecnico. La differenza però negli interventi la fa una solida base tecnica. E’ giusta l’evoluzione tattica ma si dimentica che la figura del portiere è gran parte tecnica”.
Quindi c’è bisogno di buoni maestri come li ha avuti lei.
“Da ragazzino, a 13-14 anni nelle giovanili della Cremonese, ho avuto la fortuna di essere seguito da Antonio Rigamonti, ex portiere del Milan. Con pazienza e disponibilità veniva su un campo secondario ad allenare questo ragazzino. Ma devo ringraziare una persona su tutte: mister Zampa, il preparatore storico dell’Udinese. Avevo 25 anni e difendevo esclusivamente i pali della porta, lui cambiò la mia visione: iniziai a difendere gli spazi davanti a me”.
Mentre c’è chi a 16 anni brucia le tappe come Donnarumma.
“Onestamente penso che sia prematuro per lui. Eppur vero che lui non rischia nulla perché le responsabilità ce le ha tutte chi lo ha messo in campo. Ho visto le partite che ha giocato: non è prontissimo. Fisicamente è un portiere di grandissime potenzialità. Ha meno di 17 anni, viene lanciato titolare nel Milan. Mi sbilancio: per me è stato un po’ un azzardo, poi diventerà tra qualche anno il portiere della Nazionale ma ripeto, lo vedo un azzardo”.
Responsabilità, scelte. Quelle prese dal Napoli e da Sepe.
“Personalmente dopo un anno ad Empoli, avrei puntato ancora ad essere protagonista ogni domenica per fare esperienza. Il lato positivo è che gioca in ambito europeo ma sono un po’ poche le partite”.
E nei panni di Rafael cosa avrebbe fatto?
“Il punto è che adesso la gerarchia è Reina primo, secondo Gabriel e terzo Rafael. L’anno scorso ha commesso qualche errore di troppo ma ha fatto la sua esperienza. Non preparatissimo tecnicamente ma una discreta personalità. Dopo un’annata come quella passata io non mi sarei fermato. Oggi fa il terzo portiere, forse ha fatto calcoli diversi: al posto suo pur di giocare sarei sceso anche di categoria”.
Infatti, in carriera giocando con continuità lei è stato per ben due volte ad un passo da due grandi club.
“A Cremona mi cercò l’Inter, quando c’era Zenga; poi puntarono su Pagliuca che era di ritorno dalla finale mondiale Usa 94. E la seconda volta quando ero a Udine. Il mio ex procuratore conserva ancora il fax dell’offerta. Nella sede dell’Udinese arrivò un fax con carta intestata Manchester United, era l’anno 1999/2000. Un’offerta di 12 miliardi delle vecchie lire: l’Udinese rifiutò perché aveva già presentato la lista Uefa che non poteva essere cambiata. La società cercò una soluzione ma non la trovò e qualche giorno dopo il Manchester acquistò Taibi dal Venezia. Anche se la prima scelta dello United non ero stato io, ma Gigi Buffon che rifiutò: a quel tempo era legato al Parma”.
Tanti piazzamenti Uefa in campionato, un gioco spettacolare: ci sa dire il segreto di quell’Udinese?
“Il segreto era il gruppo compatto che si era formato. Non lo dico per dire, mi spiego. C’erano ottimi giocatori sul piano tecnico come Bierhoff, Poggi, Marcio Amoroso. C’era un allenatore molto preparato ma quell’anno il gruppo fece la differenza, perché c'era gente come Giuliano Giannichedda che veniva dalla C2, dal Sora, Iaquinta veniva dalla Reggina in C1. Vado avanti?”
Prego.
“Bertotto veniva dall’Alessandria in C1. Non un curriculum ricco ma questa è gente che a Udine ha fatto la storia. Non eravamo al livello delle sette sorelle ma questo gap veniva colmato con la forza e la compattezza del gruppo. Molte di queste squadre terminavano il campionato alle nostre spalle: nell’ultimo anno di Zaccheroni arrivammo terzi quando purtroppo la Champions era solo per i primi due posti”.
Annate spettacolari, si è tolto diverse soddisfazioni ma avrà anche avuto la sua bestia nera?
“Certo, Hernan Crespo. Aveva una media gol contro di me clamorosa. Addirittura in un Parma-Udinese firmò una tripletta: gol di testa, gol tacco e su rigore. Ogni volta che mi vedeva, per lui era una festa: per me un po’ meno”.
Domenica la ‘sua’ Udinese viene al San Paolo: da un lato Reina, dall’altro Karnezis.
“La sfida tra Reina e Karnezis sembra scontata, in realtà impari è la sfida tra Napoli e Udinese. Ma fra i due portieri tanto impari non è. Karnezis veniva da un ottimo mondiale con la Grecia quando fu acquistato. Molto bravo fra i pali ma incostante nel rendimento. Resta uno di spessore. Però Reina è un portiere moderno, ha una maggior padronanza degli spazi davanti a sé. Qualità poco comuni. Palla tra i piedi è capace di trasformare una fase di difficoltà in una fase propositiva, utilizzando una tecnica individuale quasi da centrocampista o da libero aggiunto. C’è troppa differenza tra le due squadre ma storicamente l’Udinese in momenti di difficoltà ha sempre tirato fuori prestazioni di grande orgoglio”.
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