di Ciro Novellino
Il Napoli ha deciso, vuole chiudere per Leonardo Pavoletti e, dopo gli annunci arrivati nei giorni scorsi dal presidente del Genoa Preziosi e dal tecnico Juric, oltre all'ammissione di Aurelio De Laurentiis, si attende soltanto che il calciatore recuperi dall'infortunio che l'ha colpito. Il 'Pavoloso' ha avuto un trascorso non proprio positivo nella sua prima esperienza campana, per la precisione alla Juve Stabia che allora era allenata da Piero Braglia. Per conoscerlo meglio, abbiamo raggiunto, in esclusiva, Ciro Danucci: “Quando arrivò Pavoletti alla Juve Stabia, mister Braglia lo teneva molto in considerazione, non c'era ancora Corona e lui doveva giocare. Ebbe qualche problema fisico durante una partita amichevole a Livorno, dopo 20 minuti uscì per un problema muscolare. Da lì ci mise un po' di tempo a recuperare, poi arrivò Corona e per lui cominciarono i problemi. Giocando con il 3-4-3, c'era Giorgio al centro e per lui lo spazio era poco. Braglia lo mandava in panchina e per lui fu un periodo difficile. Era molto giovane, ma si vedeva che aveva grandi qualità fisiche e tecniche. Fu un anno sfortunato per lui, ma avrà fatto sicuramente tesoro”.
Le malelingue sono ovunque e si dice che, proprio per recuperare da quell'infortunio, lui ci mise un po' troppo tempo e questo non fece piacere, anche perchè sembrava fosse lui a spingere a non voler tornare in campo... “Era molto giovane, aveva circa 20 anni. Ricordo che per lui la convivenza con Corona era dura da mandar giù, la soffriva molto in quanto Giorgio aveva una storia alle spalle che faceva la differenza. Forse quello lo frenò un po'. Quando tornò dall'infortunio, Braglia lo mandò in campo un paio di volte e non fece bene. Per un ragazzo di 20 anni, con quelle aspettative che c'erano in quella stagione, la piazza di Castellammare era forse troppo pesante e non riuscì a reggere la pressione. Ci può stare un incidente di percorso”.
Tu dicevi che soffrì la pressione dell'importanza di Corona. Lui è vicinissimo al Napoli dove gioca, ormai prossimo al rientro, Arek Milik, non credi che potrebbe, anche se oggi è cresciuto, sentire quella stessa pressione? “Non credo. Oggi rispetto a prima è diventato uomo formato. Ha raggiunto un'esperienza tale da non sentire più certe pressioni, anche perchè gioca in una piazza importante come Genova. Stiamo parlando di un calciatore che è nel giro della Nazionale ed è abituato ad avere una concorrenza molto agguerrita. Non sentirà la pressione di Milik, ma questo episodio successo a Castellammare di Stabia credo l'abbia fatto crescere e gli darà quello stimolo in più per dimostrare di essere un calciatore da Napoli e tornerà molto utile a Sarri”.
Quando si allenava con te al Menti, avevi la sensazione che un giorno potesse debuttare in Champions League e alla prima gara affrontare il Real Madrid? “Quando giochi in una categoria come la serie C, vedi calciatori di prospettiva come lui e l'anno dopo Zaza. Sono calciatori bravi ma che non ti danno la sensazione di vederli sfondare su grandi palcoscenici. Non pensi che possano crescere così tanto, vedi la Champions e la serie A come qualcosa di lontano. Non pensavo che lui e Zaza potessero arrivare a questi livelli. Un giocatore un anno lo vedi così, poi cambial'anno dopo: ci sono dinamiche che non riesci a spiegare. Onore a loro per quanto fatto. Se lo meritano”.
Qualche aneddoto? “Non ci sono episodi particolari che lo riguardano, ma era un ragazzo che soffriva il fatto di non riuscire ad esprimersi. L'infortunio l'ha condizionato. Nello spogliatoio era un ragazzo chiuso, restio ad aprirsi, mentre oggi lo vedo più spigliato. Era diffidente e chiuso, anche se con qualche ragazzo della sua età aveva un rapporto leggermente diverso. Era un ragazzo d'oro, molto bravo. Non essere importante lo faceva, però, stare male. Si è sempre impegnato al massimo ed è sempre stato propositivo. Ha lasciato un ricordo, però, a livello calcistico non buono alla Juve Stabia, ma dal punto di vista extra-calcistico sicuramente si”.
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