Una vita intera a lottare in mezzo al campo difendendo a lungo i colori, tra le varie squadre, di Perugia, Catania (di cui è stato anche capitano) e Brescia. Stiamo parlando di Davide Baiocco, che per una breve parentesi della sua carriera ha anche indossato la casacca della Juventus. E proprio in vista di questa seconda sfida degli azzurri contro i bianconeri, la redazione di CalcioNapoli24 lo ha contattato in esclusiva.
Partiamo da questo doppio Napoli-Juve: cosa ti aspetti? Gli azzurri possono fare l’impresa?
"E' un impegno psicofisico notevole, parliamo di una partita, la prima, che rappresenta per il Napoli la possibilità, seppur remota, di riaprire il discorso campionato , mentre nella seconda c'è in palio la finale di Coppa Italia. A livello mentale fare 180' ad un certo livello non è semplice. La Juve è un po' più abituata, ma il Napoli è cresciuto in tal senso ed in questo noti la maturità di una squadra: affrontare ogni gara con la stessa tensione ed atteggiamento".
6 aprile 2008, il Napoli crolla per 3-0 a Catania: che ricordi ha di quella partita?
"Quando c'è un presidente ambizioso che investe e che ci tiene è una logica conseguenza scegliendo persone giuste. Comprare tanto per non è utile, vanno individuati bene sia i dirigenti di cui circondarsi che il tecnico, al pari della creazione di un gruppo compatto. In casa Napoli hanno iniziato un percorso con Benitez poi proseguito con Sarri ed è cresciuta la consapevolezza della squadra. E' un lavoro lungo quando parti da zero. Magari manca un centro sportivo, dopo tutto il lavoro fatto dal patron è fondamentale per non vedere il tutto sfumare, magari portando la metodologia della prima squadra anche nel settore giovanile".
Da avversario aveva già intuito le potenzialità di Hamsik?
"Di Hamsik sorprendeva la capacità di leggere le situazioni e di intuire i movimenti prima degli altri nonostante l'età. Leggere prima le cose è proprio ciò che fa la differenza tra un giocatore forte ed un campione. L'intelligenza calcistica ha un ruolo chiave: ti fa emergere ed a lui si notava subito, al di là delle sue doti tecniche. Calciava indifferentemente con entrambi i piedi, era già prestante fisicamente... Un predestinato".
Da uomo di campo, ci spieghi secondo te cosa manca a questo Napoli per arrivare a competere per il titolo?
"E' difficile, non manca tanto. C'è la consapevolezza di cosa va fatto dal punto di vista del gioco ed in tal senso sfiora la Juve. Sembra facile, ma se fosse così molte più squadre troverebbero l'alchimia giusta per vincere. Bisogna consolidare l'idea di gioca innalzando ogni anno il valore tecnico della rosa. Non ci sono grossi segreti, nella partita secca gli azzurri hanno dimostrato di poter affrontare corazzate come Real Madrid o Juve. Conta anche l'abitudine".
Quanto è importante indossare quella maglia? Mi spiego: è vero che si respira un’aria diversa nello spogliatoio juventino? La voglia di vincere sempre e comunque è davvero così contagiosa?
"A Torino ogni allenamento devi dare il massimo, devi dimostrare di voler restare al top in ogni sessione. La voglia di emergere in alcuni è innata, ma lì davvero non ci si accontenta mai: l'obiettivo è sempre quello di restare al top. Non si snobba niente e questo fa la differenza. Avere uno zoccolo duro fisso è importante: la stanchezza fisico si sopporta, lo stress mentale invece è più duro da smaltire. Poi le vittorie aiutano sempre in tal senso. Del Piero, ad ogni allenamento finito, restava in campo con me a fare cambi di gioco, Trezeguet scagliava 50-60 palloni in porta dopo la fine della seduta. Bisogna sempre essere critici verso sé stessi per essere al top. E' sempre lo stesso concetto: mentalità".
A proposito di Napoli, sei mai stato vicino ad un approdo in azzurro? Ti sarebbe piaciuto giocare all’ombra del Vesuvio?
"Che io sappia no, sfortunatamente. Mi piacciono le realtà che vivono di calcio così tanto. Ma mai dire mai! Sarebbe un onore per me".
Hai condiviso a lungo lo spogliatoio con Beppe Mascara. Eravate due istituzioni a Catania: c’è qualche aneddoto che lo riguarda?
"Ho ancora un bel rapporto con Beppe. E' estroso, simpatico e si fa voler bene fuori dal campo. E' una caratteristica sua, il suo modo di affrontare la vita. Sono contento che abbia lasciato un bel ricordo visto il livello dei calciatori che sono passati a Napoli. Vuol dire che ha lavorato davvero bene. Oggigiorno si da tutto per scontato, non è comune vedere gente del genere nel calcio moderno".
Che effetto ti fa guardare il crollo verticale del Catania da siciliano di adozione?
"Un susseguirsi di malattie. Ad ogni problema ne susseguiva un altro. Io mi considero un siciliano, stiamo male perché la situazione è critica a livello societario con tutti questi debiti. Si pagano ancora gli errori commessi ed a Napoli ne sapete qualcosa. Poi è stato bravissimo De Laurentiis ad ovviare a questi problemi. Ci eravamo abituati a grandi cose, è successo tutto improvvisamente e ci lascia preoccupati. Io cerco di essere ottimista, specie con il ritorno di Lo Monaco. Magari si avvicina qualcuno in grado di risolvere queste problematiche".
Come vanno adesso le cose? Che progetti hai per il futuro?
"Vorrei trasmettere ai giovani quello che ho dentro: quando appenderò le scarpe al chiodo, nel momento in cui arriverà qualche proposta interessante valuterò. Ripeto, mi piacerebbe o fare l'allenatore o dedicarmi ai ragazzi".