di Leonardo Vivard - Twitter: @LeonardoVivard
Cosa manca a questo Napoli per fare il salto di qualità? Non è qualcosa che si compra solo nelle due finestre di calciomercato. Se c’è una squadra che vince da sei campionati consecutivi e ha fatto due finali di Champions negli ultimi tre anni ci sarà un motivo.
Se un’azienda (perché di questo stiamo parlando) ha uno staff manageriale composto da 13 elementi e una da 7 le differenze le riesce a notare anche una persona che non possegga tre lauree in economica. Perché il risultato sportivo è anche frutto di un percorso aziendale. Questo ha portato la Juventus ai vertici del calcio europeo, così si è potuto investire in un centro tecnico, Juventus Training Center, da 23 milioni di euro con nove campi (!). Ricordando ai lettori che quello di Castel Volturno ne possiede 3 e nulla di quel terreno è di proprietà del club.
Questo processo ovviamente passa anche per il settore giovanile. E allora se ci si vuole avvicinare alla numero uno in Italia e all'azienda tra le prime in Europa, bisognerebbe cominciare a capire che i giocatori talvolta si fanno crescere in casa. Ecco perché non è casuale che la Juventus prediliga far allenare non solo la prima squadra, ma anche tutte le giovanili nella struttura di Vinovo (sette spogliatoi per agonismo in totale). Oltre che destinare cospicui fondi per lo scouting e la crescita dei piccoli talenti. E a questo sembra superfluo aggiungere che la superficie del centro tecnico torinese è di 162mila metri quadri, mentre quello partenopeo raggiunge i 2800.
Quasi riduttivo a questo punto parlare di stadio. Da un lato il San Paolo, dall’altro l’Allianz Stadium (ex Juventus Stadium). Una struttura costata 155 milioni di euro, tra le più all’avanguardia d’Europa con sistemi di basso consumo energetico e rispetto dell’ambiente. Insomma, un gioiello (tifo a parte) eco sostenibile con musei, ristoranti e attrazioni che consentono al tifoso di vivere non solo una partita di calcio. E nel club questo si traduce in aumento e differenziazione dei ricavi. Per quanto la storia possa significare molto, la struttura di Fuorigrotta resta fatiscente, per usare un eufemismo. E questo lo riconobbe anche il presidente De Laurentiis.
Non di minor rilevanza la mentalità, che però si acquisisce con i traguardi. In quel di Torino affrontano semifinali e finali di Champions con la consapevolezza della propria forza. All’ombra del Vesuvio ci si spaventa per un preliminare di Champions contro il Nizza (e allo stesso tempo si grida allo scudetto). Controsenso.
Insomma, quando parliamo di ultimo step forse ci riferiamo solo ad un aspetto tecnico-tattico. Ma il processo di sviluppo di un club ad oggi non passa solo attraverso il terreno di gioco. Ovviamente ci sono molte prospettive da tenere in considerazione. Evidentemente se esiste questo gap da colmare non solo sotto il profilo sportivo è anche perché si parte da potenzialità economiche completamente diverse. Non bisogna di certo ricordare che alle spalle della Juventus (quotata in borsa) c’è il colosso Fiat. Dietro il Napoli la Filmauro che di certo non può considerarsi cassa finanziatrice.
Anche nel merchandising De Laurentiis parte enormemente dietro rispetto agli Agnelli e non solo per responsabilità sue. Molto dipende dal bacino d’utenza (sostanzialmente i clienti) e dall’appeal storico di un club. E’ ovvio che avendo milioni di tifosi in più e una storia calcisticamente più vincente la società torinese si trova di gran lunga avvantaggiata. Il prodotto Juve si vende di più e a più caro prezzo.
Non per demoralizzare i tifosi del Napoli, ma per indurre a riflettere quando si abusa dell’espressione "Manca solo l’ultimo step". Forse sul rettangolo verde sì, ma non si tiene conto di tanti altri aspetti che non garantiscono la vittoria in una sola stagione, ma a lungo termine. Da qui l’espressione che fece tanto rumore di Maurizio Sarri: "Uno scudetto a Napoli non è programmabile".
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