Sapete come sono i calciatori durante le interviste, no? Un po’ strafottenti, spesso arroganti, concentrati su se stessi e sul pallone, pronti a scatenare polemiche. Beh, se pensate di voler leggere le prossime righe, dimenticate questo stereotipo di calciatore perché qui raccontiamo di Pasquale Foggia che è un figlio del Rione Traiano, non è strafottente né arrogante e, soprattutto, non ha mai dimenticato le sue origini.
Giocava in serie A, era nel giro della Nazionale, segnava gol, conquistava l’affetto dei tifosi e un mucchio di soldi. Poi una mattina del 2008 si fermò a pensare a un piccolo ciuffo d’erba su un campetto degradato del Rione Traiano. Quel ciuffo cresceva solo in un angolino del campo che era tutto sassi e polvere: quando aveva dieci anni Pasqualino giurò a se stesso «faccio i soldi e vengo a seminare il prato, così diventa il campo più bello di Napoli».
In quell’angolo del Rione Traiano, collegato alla Loggetta da un ponte che passa sopra la Tangenziale, ora c’è un’erba perfetta. Ma il seme che Pasquale Foggia ha gettato, ha invaso tutto il quartiere, anzi tutta la città. Oggi la scuola calcio che porta il nome del calciatore è affollata da 350 ragazzi dai sei ai sedici anni, vengono dal Rione Traiano ma anche dal Vomero, da Posillipo, dalla provincia: «Vengono tutti qui, al centro di questo posto che è casa mia e che io adoro ma che per il resto del mondo è un luogo di malaffare, di pistolettate e di droga. Ecco, questo è il mio Rione - allarga le braccia verso il campo dove decine di ragazzi s’allenano - pensate che ci sia da aver paura?».
Qui succedono cose che a tutti sembrano normali ma che, a guardarle con occhi estranei, sono straordinarie: i bambini di via Petrarca vanno a pranzo a casa degli amichetti di viale Traiano, i ragazzi della Loggetta sono ospiti nelle ville vista mare di Posillipo. E sapete qual è la cosa straordinaria? Che nessuno pensa che questo sia anormale: «Smettetela di pensare che esistono due Napoli, quella dei buoni e quella dei cattivi - Foggia non perde l’aplomb ma sulle braccia conserte, tatuatissime, le mani diventano improvvisamente tese - Certe cose lasciatele a chi vuole il male della nostra città. Io so che il calcio unisce, che lo sport allontana dalla strada, che lo spogliatoio diventa una famiglia dove si è tutti fratelli e nessuno ti chiede in quale zona della città sei nato».
In questa intensa avventura di frontiera l’ex calciatore (ha smesso a fine 2014 con la Salernitana) è accompagnato dall’imprenditore Riccardo Buongiovanni con il quale ha condiviso le difficoltà e le spese dell’avvio. Da quando ha smesso di girovagare per giocare a pallone, Pasquale Foggia trascorre negli uffici del campetto la maggior parte del tempo. I ragazzi lo rispettano e lo amano; a Pasquale vengono i lucciconi agli occhi quando pensa ai regalini di Natale che i bambini gli portano nella festa della vigilia.
Però la realtà è un’altra. Qui è tutto più difficile perché se stai al centro del Rione Traiano devi per forza fare i conti con le difficoltà del quartiere. Con la maglia rossa della scuola calcio, ad esempio, giocava Davide Bifulco ucciso da un carabiniere a settembre dell’anno scorso: «No, di Davide non parlo. Non l’ho mai fatto finora e non intendo farlo adesso», taglia corto.
Ma basta scivolare su quella vicenda per voltare lo sguardo al di là dei cancelli che proteggono un mondo perfetto e scoprire che, lì fuori, il mondo non è poi così meraviglioso. Il deus ex machina della scuola calcio finalmente si scioglie, ricorda di quella volta che è andato a casa di un bambino: «Da qualche settimana aveva smesso di allenarsi. Volevo sapere se gli era successo qualcosa. Ho scoperto che preferiva andare in motorino con gli amici, l’ho preso a scappellotti fino all’ingresso del campo e l’ho rimandato a giocare con i compagni». Poi c’è quel ragazzo che fin da bambino era molto «tentato» dalla vita di strada e dalle cattive compagnie ma frequentando la scuola calcio ha deciso che era meglio rispettare le regole: ha fatto per un po’ il garzone di salumeria, poi ha lavorato in un bar, adesso sta tentando la via del «pallone» nei campionati minori.
La parola «regole» viene pronunciata almeno una volta al minuto, è il mantra di Foggia e del suo team. Pasquale indica la finestra di una palazzina che affaccia sulla piazza degradata: «Vedi quella casa? La sono nato io. Mamma Maria faceva i servizi e si sacrificava per me, si arrabbiava solo quando non rispettavo le regole. Non potevo allontanarmi dalla piazza, e io non lo facevo. E n non per paura delle botte ma perché l’amavo e non volevo deluderla». Oggi mamma Maria vive in un’altra casa con vista mare, ma i suoi insegnamenti sono ancora lì: «Quando i ragazzi entrano qui gli spieghiamo che ci sono delle regole. Loro si adeguano perché gli piace stare con noi. Se sbagliano, ma succede raramente, vengono puniti. Non importa se sono di via Petrarca o del Rione Traiano, vengono trattati tutti allo stesso modo».
E invece no. Quando arriva un ragazzino nuovo Pasquale chiede di parlare con la mamma o con il papà, se si accorge che hanno problemi economici sorride e dice che lì, nella sua scuola calcio, non si paga. Sono una cinquantina i ragazzi che giocano senza pagare ma non li puoi riconoscere perché hanno divisa, scarpe e borsone proprio come tutti gli altri. Pasquale mi fai vedere chi sono? Lui ride «non te lo dico nemmeno se ti metti a pregare» e ride di gusto. «Mia moglie lo sa. I miei due bimbi hanno altri 350 fratellini perché questi qui sono tutti un po’ figli miei».